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SALUTE

Dott. Nicola Petrosillo, dir.Infezioni Sistemiche ospedale Spallanzani di Roma

Ebola & co. sono virus aggressivi e letali ma questa è la loro debolezza

Esistono molti virus emorragici, capaci di infettare gli esseri umani prima col contatto animale, poi con scambio di fluidi tra gli uomini. Sono quasi sempre mortali, ed uccidono rapidamente: per questo non sono in grado di scatenare pandemie. I loro ospiti muoiono prima. 

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Roma
Direttore, ebola ma non solo: dal Marburg all’Henipavirus, dal Lassa Virus al Lyssavirus esistono in natura microrganismi letali per fortuna da noi sconosciuti. Perché non riescono (per fortuna) a diventare epidemici?
Molti di questi virus appartengono alla categoria dei virus responsabili delle febbri emorragiche virali, anche se non si esprimono tutti con le emorragie. Ma sono una grande famiglia, con queste caratteristiche: sono tutti virus a RNA, di piccole dimensioni e con una struttura esterna lipidica la loro sopravvivenza dipende da ospiti animali o insetti, chiamati serbatoio naturale sono geograficamente confinate nelle aree dove vivono le specie ospite. Gli uomini non rappresentano il serbatoio naturale per questi virus, ma possono infettarsi quando vengono in contatto con gli ospiti infetti, per esempio mangiando gli animali che li contengono.

Va detto che per alcuni di questi virus c’è la possibilità di trasmissione interumana, cioè da persona a persona, attraverso il contatto con liquidi biologici infetti (sangue, secrezioni). I casi sporadici o le vere e proprie epidemie di febbri emorragiche avvengono in maniera irregolare e, spesso, imprevedibile. Ed fanno un gran numero di vittime perché, per la quasi totalità di queste infezioni virali, non esiste una terapia specifica. Ma il fatto che l’uomo non rappresenti la “prima scelta” di questi virus, e che le specie ospiti siano circoscritte in alcune aree geografiche, oltre all’elevata letalità di queste infezioni spiega perché queste epidemie siano localizzate e circoscritte.

C’è una ampia letteratura parascientifica che riporta la creazione in laboratorio di questi ed altri virus, come l’HIV, a scopo di guerra biologica: poi come in un romanzo giallo, qualcuno si fa scappare il microrganismo ed accade la catastrofe. C’è qualcosa di vero?
Il timore che virus o altri agenti letali fuoriescano da laboratori di ricerca, magari in modo intenzionale, ha serpeggiato negli ultimi anni in un clima politico mondiale di diffidenze, sospetti e terrorismo. Le principali organizzazioni scientifiche internazionali hanno classificato alcuni microrganismi come il Clostridium botulino, Ebola e gli altri agenti delle febbri emorragiche, il carbonchio, il bacillo della peste, il virus del vaiolo e l’agente della tularemia come potenziali agenti di bioterrorismo per la loro elevata contagiosità e letalità. Per fortuna non si sono avute situazioni a rischio per la popolazione, con l’eccezione di un singolo caso di rilascio intenzionale di spore del carbonchio negli Stati Uniti, qualche anno fa, con pochi casi, alcuni dei quali però letali. Il pericolo che qualcuno possa utilizzare agenti biologici altamente contagiosi, magari conservati in laboratori superprotetti, comunque esiste e rappresenta una costante preoccupazione delle agenzie sanitarie nazionali ed internazionali.

Quello che invece preoccupa molto voi ricercatori sono i “salti di specie”, microrganismi specifici di particolari animali che evolvono e riescono ad infettare l’uomo.
Alcuni virus ad RNA, come il virus influenzale, tendono a mutare molto rapidamente, essendo poi responsabili di nuove epidemie. Può anche accadere che uno di questi virus infetti un’altra specie, quello che si definisce “salto di specie”. In questi passaggi da una specie all’altra ci può essere una ricombinazione di materiale genetico tra il virus e la specie infettata. Il nuovo virus risulterà allora diverso, talvolta più virulento e anche capace di generare nuove epidemie perché la popolazione non risulta ancora dotata di immunità nei suoi confronti. E’ quello che è successo per il virus influenzale nelle recenti pandemie influenzali, in cui il salto di specie maiale-uomo e uccello-uomo ha generato nuovi agenti virali influenzali responsabili di epidemie.

Alcuni microrganismi che in passato hanno afflitto l’umanità e sono stati finalmente sconfitti dall’uomo, come il vaiolo, continuano ad essere conservati in alcuni Paesi del mondo, a scopo scientifico. A cosa potrebbe mai servire un organismo tanto letale?
Il virus del vaiolo, definitivamente eradicato nel 1979, è conservato in due laboratori di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno negli Stati Uniti, nei CDC di Atlanta in Georgia, e uno a Koltsovo in Russia. Negli anni novanta si sarebbe dovuto provvedere anche alla loro distruzione definitiva ma, a causa di resistenze politiche da parte degli Stati Uniti e della Russia, ciò non venne attuato. Gli stock di virus presenti nei due laboratori sono stati considerati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non senza voci contrarie, importanti a scopo diagnostico, di ricerca e per l’eventuale produzione di vaccini qualora si verificasse una epidemia di vaiolo, magari causata da rilascio intenzionale di questo virus.

Oggi di quali microrganismi dovremmo preoccuparci?
L’umanità vive in regioni geograficamente, socialmente, economicamente e culturalmente diverse, con ambienti e condizioni animali le più varie. In questi contesti esistono microrganismi che, per condizioni evolutive favorevoli, possono proliferare più facilmente. Spesso l’uomo entra in contatto con questi microrganismi in modo del tutto occasionale e accidentale, come è il caso di molte febbri emorragiche virali. Penso alla febbre di Lassa che si verifica in zone geografiche ben precise dell’Africa, dove il virus è endemico ed ha un serbatoio animale chiaramente identificato, un piccolo roditore. L’essere umano viene infettato per contatto con i roditori o perché mangia la loro carne, che in alcune aree è considerata una prelibatezza. Probabilmente nei paesi sviluppati come il nostro oggi dobbiamo preoccuparci più delle infezioni da batteri multiresistenti che rappresentano spesso il prodotto di una cattiva gestione delle terapie antibiotiche in comunità e nelle strutture sanitarie assistenziali.

A proposito di ebola: sull’onda emozionale dei morti in Africa e soprattutto sull’allarme quando i primi malati sono comparsi in Occidente c’è stata una corsa al vaccino ed ai farmaci sperimentali: adesso che quest’altra fase della ciclica epidemia da ebola sembra stia concludendosi, pare pure scemare l’interesse del mondo a cercare una cura
Mentre l’opinione pubblica e i media cominciano a non prestare molta attenzione all’epidemia di Ebola, le febbri emorragiche virali esistono in alcune parti del mondo, spesso le più diseredate, e sono causa di gravi epidemie tra il bestiame (febbre della Valle del Rift) con importanti danni economici per popolazioni già di per sé povere. La dengue, causata da un Flavivirus trasmesso da zanzare in aeree endemiche, causa ogni anno 500.000 infezioni con più di 20.000 decessi specialmente tra i bambini. Trovare vaccini, cure e fare ricerca su queste malattie ha dei costi e, quando l’interesse viene scemando, calano anche i finanziamenti. La comunità scientifica ha il compito di tenere vivo l’interesse per queste gravi infezioni che colpiscono paesi già poveri e con gravi problemi di sopravvivenza.