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MONDO

Ebola, il contagio non si ferma: oltre 300 le vittime

Il terribile virus uccide in Africa occidentale, ieri altre vittime in Liberia. L’Organizzazione mondiale della sanità lancia l’allarme: sono 337 i  morti. Il racconto di Carlotta Berutti, un’infermiera di Medici senza Frontiere appena rientrata dal campo di Gueckedou, in Guinea.

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“Sono stati giorni e notti di lavoro molto intensi, il numero di pazienti ricoverati continuava a crescere. Per fortuna abbiamo avuto anche la soddisfazione di vedere alcuni pazienti guarire, tra cui Catherine, una bimba di 7 anni che è stata ricoverata da noi tre lunghe settimane”. A parlare è Carlotta Berutti, un’infermiera dell’Ong internazionale Medici senza Frontiere. Insieme ad altri 300 operatori, Carlotta ha lavorato in Guinea per cercare di arginare il contagio del virus ebola, che dall’inizio dell’epidemia ha fatto 337 vittime in tutta l’Africa occidentale.  “Il mio ultimo giorno di lavoro è coinciso con l’uscita dall’isolamento di questa bambina – ci racconta - vederla sorridere di nuovo, vedere la mamma che poteva riabbracciarla ed infine accompagnarla per mano al villaggio è stata la ricompensa più bella.”

Sono stati giorni intensi, difficili. Ma qual è la situazione sul campo? Quale l'estensione della malattia?
"La situazione al momento è abbastanza critica: sia a Gueckedou, dove lavoravo, sia a Macenta e Conakry c’erano sempre nuovi casi confermati e altri in Liberia e Sierra Leone. Il numero di pazienti ricoverati in isolamento era sempre maggiore".

Come si stanno muovendo gli operatori di Medici senza Frontiere e quali sono le maggiori difficoltà?
"Vista l’estensione dell’epidemia, Msf sta cercando di rafforzare le risorse umane sul terreno e l’approvvigionamento di materiale. Cerchiamo di installare altri centri dove poter accogliere i pazienti, come il nuovo isolamento di Telimele a circa 200 Km da Conakry. Più di 300 persone, fra personale espatriato e staff nazionale, lavorano attualmente nelle località coinvolte dal contagio. Ma la sfida più grande è tracciare i movimenti delle persone che potrebbero essere state contagiate, in modo da ridurre al minimo il rischio di diffusione."

Qual è la reazione della popolazione? Contro quali ostacoli dovete combattere?
"La popolazione si trova per la prima volta ad affrontare questa malattia e, come per tutte le cose sconosciute, ovviamente è impaurita. Il lavoro principale in un’epidemia di questo tipo consiste nel sensibilizzare la popolazione, informare le persone, cercare di farsi conoscere e guadagnare la loro fiducia. Nei villaggi si sentono storie incredibili di ‘bianchi’ che sono vampiri perché si fanno prelievi di sangue, di ‘bianchi’ che spruzzano il virus nelle case quando in realtà andiamo a disinfettarle. Questo a volte è difficile da sfatare."

Cosa si prova a dover affrontare emergenze di questo tipo? 
"È la prima volta che gestiamo un’epidemia di Ebola o virus altamente infettivi. Anche se può spaventare all’inizio dopo qualche giorno diventa una missione come le altre, in cui si pensa al paziente e si mettono da parte le paure. La grande differenza con altre missioni è stato il rapporto instauratosi con le persone, i pazienti e lo staff. Emotivamente si vivono sensazioni molto più forti, a volte dure ma che aiutano a creare un ambiente quasi familiare all’interno dell’isolamento."

Si riuscirà ad arginare il contagio?
"Difficile una risposta in tal senso. Tuttavia, vista l’estensione del contagio a tre nazioni limitrofe, saranno probabilmente necessari ulteriori interventi, anche da parte di altri organismi internazionali".