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ITALIA

Il Cairo

Giulio Regeni, media egiziano: fece 20 telefonate prima sparire, ci sono nuovi sospettati

Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Casini: "Verità dal Cairo o richiamiamo l'ambasciatore"

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"Chiediamo la verità per Giulio Regeni con la determinazione di chi è realmente amico e da un amico non è disposto ad accettare bugie o verità di comodo", "o arrivano entro pochi giorni risposte vere oppure il governo, che pure si è mosso con grande saggezza, per dare valore alle parole inequivocabili del presidente del Consiglio, deve considerare alcuni gesti simbolici forti", come il richiamo in Italia del nostro ambasciatore al Cairo, perché "dovremmo far capire la gravità della vicenda e che noi non scherziamo". Lo dice Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, in un'intervista al Corriere della Sera. "Io non penso affatto - afferma - che ci sia stato un ordine politico di far fuori Giulio Regeni, credo invece che in un Paese che si sente ed è obiettivo primario del terrorismo, ci siano apparati militari e di sicurezza che hanno mano libera" ed "è indubbio che siano loro i responsabili della morte di Regeni: l'autopsia - prosegue Casini - ha mostrato che le torture inflitte a quel povero ragazzo possono essere motivate solo da un gigantesco fraintendimento di chi ha ritenuto che avesse collegamenti con aree che cospiravano contro la sicurezza nazionale. Ma questa è una palese sciocchezza. Regeni non era una spia, era uno studioso attento che agiva in un versante di società civile naturalmente scottante".

20 chiamate prima di sparire
"Prima della sua scomparsa la sera del 25 gennaio", Giulio Regeni "effettuo' 20 chiamate telefoniche": lo ha sostenuto una "fonte della sicurezza" in dichiarazioni al quotidiano egiziano Akhbar Al Youm oggi in edicola.

Il giornale precisa che "il rapporto della compagnia telefonica consegnato agli investigatori fornisce prove chiare" per nutrire "sospetti" e che tale documento aiuta la sicurezza nella ricerca dei responsabili dell'omicidio. Il rapporto, viene aggiunto, "dopo aver verificato il numero di chiamate effettuate il 24 e 25 gennaio, include altre persone sospette".

Il quotidiano aggiunge anche che "il telefono mobile di Giulio" Regeni "è stato chiuso una mezz'ora prima del suo rapimento in via Sudan. La fonte della sicurezza ha confermato poi che "le videocamere che si trovano nei negozi e imprese" della zona "non hanno fornito alcun elemento su questo caso". L'indicazione sulla scomparsa del segnale telefonico in via Sudan al Cairo era emersa due settimane fa. Fonti giudiziarie citate dai media il 14 febbraio avevano già precisato che "l'ultima chiamata del 28enne" era "stata fatta alle 19.20".
 

Procura di Roma: "Ucciso da professionisti della tortura"
Mentre dal Cairo continuano ad arrivare ipotesi poco verosimili sul movente dell'omicidio di Giulio Regeni, la procura di Roma ha pochi dubbi sul fatto che il giovane sia stato ucciso per motivi legati al suo lavoro di ricerca. Inoltre "le sevizie e la crudeltà" cui è stato sottoposto Giulio prima di morire, secondo chi indaga, fanno pensare che non sia stato ucciso da 'criminali comuni', ma da professinisti della tortura.

Dall'esame del computer di Regeni, e anche dal resto dell'attività istruttoria, non emergono comunque legami di Giulio Regeni con servizi segreti. L'inchiesta, secondo quanto si è appreso, avrebbe inoltre evidenziato che Regeni non aveva avuto contatti con persone equivoche e tantomeno che i dati raccolti nell'ambito delle sue ricerche siano uscite fuori dall'ambito universitario.  

I pm romani che indagano sulla morte del ricercatore hanno anche avanzato una richiesta alle società che gestiscono i maggiori social network per ottenere le password utilizzate da Regeni in modo da poter ricostruire gli spostamenti effettuati dal ricercatore con la geolocalizzazione. ​

La procura ha attivato da tempo una richiesta di informazioni, e password, ma finora non sono arrivate risposte ufficiali. Attraverso gli accessi gli inquirenti potrebbero avere ulteriori notizie sulla vita di Giulio e le relazioni che intratteneva in Egitto e altrove. In particolare l'interesse di chi indaga è acquisire i dati relativi ai dispositivi gps collegati al telefono cellulare (mai trovato dopo la scomparsa del giovane ndr) attraverso i social.

Secondo quanto si apprende, inoltre, non risultano schedature fatte in Egitto, anche se l'episodio di una foto scattata da uno sconosciuto durante l'assemblea di un sindacato indipendente aveva turbato il ricercatore universitario.

In base agli elementi raccolti fino a ora, spiegano le fonti della procura, è possibile affermare che Regeni facesse una vita piuttosto ritirata al Cairo, e che le sue conoscenze e frequentazioni fossero limitate all'ambiente universitario. Inoltre, dai primi esiti degli esami tossicologici sarebbe emerso che Regeni non faceva uso di droghe.

Ma se Giulio è stato torturato e ucciso per ciò che studiava perché chi l'ha preso non ha fatto sparire, né manomesso il suo computer? Nessun elemento, dai primi accertamenti sul pc del giovane, fa pensare che lui raccogliesse informazioni se non per il dottorato, né che queste informazioni venissero usate altrove.

Il pm Sergio Colaiocco chiede da tre settimane, e per ora senza risultati, i verbali delle testimonianze, il referto dell'autopsia effettuata al Cairo, i dati delle celle telefoniche, i filmati delle telecamere di sorveglianza della zona nella quale si è mosso Giulio il 25 gennaio prima della scomparsa e gli altri atti del fascicolo aperto dalla procura egiziana. Per ora nulla di tutto ciò è stato trasmesso a Roma e gli unici documenti certi in mano agli inquirenti italiani sul caso restano l'autopsia effettuata all'Istituto di medicina legale de La Sapienza, il cui referto arriverà sul tavolo del pm la prossima settimana, e il pc sul quale continuano gli accertamenti.