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SALUTE

Rapporto Osservasalute 2016

Gli italiani sono sempre più anziani: oltre 1 su 5 è sopra i 65 anni

Diminuisce il numero degli abitanti in Italia, oltre un individuo su cinque ha più di 65 anni: per la prima volta negli ultimi decenni si assiste alla diminuzione della popolazione residente

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Tale diminuzione è dovuta in gran parte al saldo negativo della dinamica naturale (i decessi superano le nascite). E' questo uno dei dati che emerge dalla XIV edizione del Rapporto Osservasalute (2016), presentato oggi a Roma.

Il numero medio di figli per donna per il complesso delle residenti è, nel 2014, pari a 1,37 figli per donna (per le italiane 1,29 figli per donna, per le straniere 1,97 figli per donna). Si conferma la tendenza alla posticipazione delle nascite, tanto che l'età media al parto delle residenti è di 31,6 anni (per le italiane 32,1 anni, per le straniere 28,6 anni). Poco meno di un nato ogni cinque ha la madre con cittadinanza straniera, con un picco di quasi un nato su tre in Emilia-Romagna.

Sempre in aumento i "giovani anziani" (ossia i 65-74enni): sono oltre 6,5 milioni, pari al 10,8% della popolazione residente (nello scorso rapporto erano pari al 10,7% della popolazione residente). In altri termini, oltre un residente su dieci ha un'età compresa tra i 65-74 anni. I valori regionali variano da un minimo del 9,4% della Campania a un massimo del 12,8% della Liguria. Il peso relativo dei 65-74enni sul totale della popolazione varia sensibilmente se si considera la cittadinanza: i 65-74enni rappresentano l'11,5% della popolazione residente con cittadinanza italiana vs il 2,4% registrato per gli stranieri.

Continua l'avanzata degli "anziani" (75-84 anni) purtroppo non sempre in buona salute: sono oltre 4,8 milioni e rappresentano ben l'8% del totale della popolazione (nella scorsa Edizione del Rapporto Osservasalute erano circa 4,7 milioni e rappresentavano il 7,8% del totale della popolazione); ma, anche in questo caso, è possibile notare delle differenze geografiche. In Liguria tale contingente rappresenta ben il 10,6% del totale, mentre in Campania è "solo" il 6,1%. Aumentano pure i "grandi vecchi" (85 anni ed oltre): la popolazione dei "grandi vecchi" è pari a quasi 2 milioni che corrisponde al 3,3% del totale della popolazione residente (l'anno precedente erano 1 milione e 900 mila unità, pari al 3,2% del totale della popolazione residente). Anche tale indicatore mostra i valori maggiori in Liguria (4,8%) e i valori minori in Campania (2,3%).

Le donne restano la maggioranza: si registra, anche per questa Edizione, l'aumento del peso della componente femminile sul totale dei residenti all'aumentare dell'età: la proporzione di donne è del 52,9% tra i giovani anziani, sale al 57,5% tra gli anziani e arriva al 68,5% tra i grandi vecchi. Si noti che, seppure le donne rappresentino la maggioranza degli anziani in tutte le classi di eta' considerate (specie al crescere dell'età), la componente maschile negli ultimi anni sta lentamente recuperando tale svantaggio, grazie alla riduzione dei differenziali di mortalità per genere.

La popolazione con 65 anni ed oltre rappresenta il 22,1% della popolazione residente, ossia più di una persona su cinque è ultra 65enne. I divari territoriali sono evidenti. Come già sottolineato, la Liguria è la regione piu' vecchia del Paese (la quota di over 65 anni è pari al 28,2%) e al suo opposto troviamo la Campania (17,8%). Più in generale, ad eccezione della PA di Bolzano e, anche se in minor misura della PA di Trento, il processo di invecchiamento ha coinvolto maggiormente, finora, le regioni del Centro-Nord.  

Cresce il divario territoriale tra Nord e Sud Italia rispetto alle condizioni di salute  
Il Sud dispone di minori risorse economiche, è gravato dalla scarsa disponibilità di servizi sanitari e di efficaci politiche di prevenzione. E questa disparità di accesso all'assistenza si riflette in modo sempre più evidente sulla salute delle persone: al Sud è molto più alta la mortalità prematura sotto i 70 anni d'età. E' quanto emerge dal Rapporto Osservasalute 2016 sullo stato di salute della popolazione e sull'assistenza sanitaria nelle regioni italiane, pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane dell'Università Cattolica di Roma, presentata oggi al Policlinico universitario Agostino Gemelli.  
   
La spesa sanitaria pro capite, che si attesta mediamente a 1.838 euro è molto più elevata nella Provincia autonoma di Bolzano (2.255 euro) e decisamente inferiore nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria (1.725 euro). E rispetto alle condizioni di salute, le diseguaglianze territoriali sono evidenti. Se nel 2015 in Italia ogni cittadino può sperare di vivere mediamente 82,3 anni (uomini 80,1, donne 84,6), nella Pa di Trento la sopravvivenza sale a 83,5 anni (uomini 81,2, donne 85,8), mentre un cittadino che risiede in Campania ha un'aspettativa di vita di soli 80,5 anni (uomini 78,3, donne 82,8). Inoltre, il Mezzogiorno resta indietro anche sul fronte della riduzione della mortalità. Negli ultimi 15 anni è diminuita in tutto il Paese, ma tale riduzione, soprattutto per gli uomini, è stata del 27% al Nord, del 22% al Centro e del 20% al Sud e Isole.      

E ancora, analizzando la mortalità sotto i 70 anni, si osserva che i divari territoriali seguono un trend in crescita. Dal 1995 al 2013, rispetto alla media nazionale, nel Nord la mortalità under 70 è in diminuzione in quasi tutte le regioni (fanno eccezione Pa di Trento e Liguria); nelle regioni del Centro si mantiene sotto il valore nazionale con un trend per lo più stazionario (a eccezione del Lazio dove la mortalità è aumentata); nelle regioni del Mezzogiorno il trend è in sensibile aumento, facendo perdere ai cittadini di questa area del Paese i guadagni maturati nell'immediato dopoguerra. Le evidenti disparità di salute - si legge ancora nel Rapporto Osservasalute - potrebbero anche essere una conseguenza delle politiche e delle scelte allocative delle Regioni: per esempio, gli screening oncologici coprono la quasi totalità della popolazione in Lombardia, ma appena il 30% dei residenti in Calabria. La carenza di risorse, comunque, non basta a spiegare le differenze tra Nord-Sud e Isole del nostro Paese; infatti, osservando l'indicatore sulle risorse disponibili in termini di finanziamento pro capite, emerge che molte Regioni del Nord migliorano la loro performance senza aumentare la spesa. Per contro, alcune Regioni del Mezzogiorno, alle quali si aggiunge il Lazio, peggiorano la performance pur aumentando le risorse disponibili rispetto al dato nazionale.      

E anche sulla mortalità riconducibile ai servizi sanitari, che nel complesso scende, sono ancora troppe disparità tra Nord e Sud. Rispetto al biennio 2010-2011, negli anni 2012-2013 il tasso standardizzato di 'amenable mortality' è passato da 75,14 a 72,93 per 100 mila, pari a una diminuzione del 3,03%. La mortalità è inferiore al valore nazionale (72,93 per 100 mila) in 8 regioni: Lombardia, Pa di Bolzano, Pa di Trento, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Valori significativamente superiori al dato nazionale si registrano invece in 5 regioni: Piemonte, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.
     
I valori più bassi è più alti si registrano, rispettivamente, nella Pa di Trento (57,47 per 100 mila) e in Campania (91,32 per 100 mila). Questo pattern geografico ricalca fedelmente quello del biennio 2010-2011.

Mortalità ridotta ma record decessi nel 2015
La diminuzione dei tassi di mortalità in questi ultimi 11 anni è sicuramente dovuta al calo dei rischi delle principali cause di morte, soprattutto delle malattie del sistema circolatorio. In questi anni, quindi, si è osservata una importante modifica del profilo della mortalità. Nel 2003, le malattie cardiovascolari erano di gran lunga e in tutte le regioni la principale causa di morte: il rapporto tra i tassi standardizzati delle cardiovascolari e dei tumori era compreso tra 1,13 (Lombardia) e 1,75  (Calabria) negli uomini e tra 1,51 (Lombardia) e 2,84 (Calabria) nelle donne; nel 2014, tale rapporto si riduce fortemente e in diverse regioni si inverte al punto che in Lombardia (dal 2006), PA di Trento, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Sardegna i tumori diventano la prima causa di morte tra gli uomini in termini di tassi standardizzati.    

Si muore di più invece per le malattie psichiche e infettive: in un quadro di riduzione generalizzata dei rischi per tutte le principali cause, meritano di essere evidenziati gli incrementi che, invece, si registrano per i disturbi psichici e alcune malattie infettive e parassitarie, sia per gli uomini che per le donne. Tra il 2003 e il 2014, il tasso standardizzato di mortalità per disturbi psichici passa da 1,8 a 2,4 per 10.000 per entrambi i generi. Analogamente, la mortalita' per malattie infettive e parassitarie fa registrare un incremento del 50% circa che ha interessato, principalmente, fasce di popolazione piu' anziana. All'interno del gruppo delle malattie infettive e parassitarie la setticemia è la maggiore causa responsabile dell'incremento osservato.

Cresce il consumo di alcol Il consumo rischioso e dannoso di alcol interessa in Italia milioni di individui di tutte le fasce di età ed è associato a una serie di conseguenze a breve, medio e a lungo termine. I giovani rappresentano un target di popolazione estremamente vulnerabile: tra loro l'uso di alcol risulta la prima causa di mortalità e disabilità, evitabile se venisse garantito e suportato il rispetto delle norme di tutela della salute e di sicurezza. Oggi è più urgente che mai adottare politiche e strategie per far aumentare la consepevolezza sul problema ed investire sulla prevenzione e sul sociale, considerando  che "sono i gruppi a basso reddito a risultare i piu' vulnerabili".     La prevalenza dei consumatori a rischio, nel 2015, è pari al 23% per gli uomini e al 9,0% per le donne (che nel 2014 erano l'8,2%). I consumatori a rischio tra gli uomini restano dunque sostanzialmente stabili, mentre rispetto all'anno precedente c'è un incremento tra le donne.  Si riduce la percentuale dei non consumatori (astemi e astinenti negli ultimi 12 mesi), pari al 34,8% (nel 2014 era il 35,6%) degli individui di età superiore agli 11 anni. A livello territoriale, l'unica regione in cui si rileva un incremento dei non consumatori è il Friuli Venezia Giulia , mentre delle diminuzioni statisticamente significative si registrano in Emilia-Romagna (-3,3 punti percentuali), Toscana (-5,0 punti percentuali) e Abruzzo(-4,2 punti percentuali).    

Resta costante il numero dei fumatori  Rispetto agli anni precedenti, in cui si registrava un calo, l'ultima edizione del Rapporto evidenzia un assestamento della quota dei fumatori. Sono 10 milioni e 300 mila i fumatori in Italia nel 2015, poco meno di 6 milioni e 200 mila uomini e 4 milioni e 100 mila di donne. Vizio duro a morire tra i giovani: le fasce di età che risultano più critiche sia per gli uomini che per le donne sono, nel 2015, quella dei giovani tra i 20-24 e 25-34 anni in cui, rispettivamente, il 30,4% e il 33,0% degli uomini e il 19,3% e il 19,4% delle donne si dichiarano fumatori. I più accaniti sono gli individui over 60 anni - In merito al numero medio di sigarette fumate al giorno, i più accaniti fumatori sono gli uomini e le donne tra i 60-64 anni con, rispettivamente, 15,1 e 11,7 sigarette fumate ogni giorno.    

Un italiano su tre è in sovrappeso
Più di un terzo della popolazione adulta è in sovrappeso, mentre poco più di una persona su dieci è obesa. Le persone 'grasse sono concentrate più al Sud che al Nord: tanto per fare un esempio la percentuale di obesi in Molise è del 14,1% mentre in Lombardia è dell'8,7%. Per quanto riguarda l'obesità infantile risulta molto accentuata nella fascia di età 6-10 anni (34%) e su di essa incide in modo significativa il contesto socio-economico svantaggiato. Stabile la quota degli italiani che fanno sport o praticano un'attività fisica, ma ancora troppi i sedentari, (circa 23 milioni e 500 mila, pari al 39,9%).