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ECONOMIA

Intervista al docente di finanza matematica della Bocconi Marcello Minenna

Grecia. Serve uno sforzo coordinato di BCE ESM e FMI per rianimare un paese al collasso

L'accordo siglato all'eurosummit non è sufficiente. Serve una ristrutturazione del debito e una formidabile azione coordinata di tutti gli attori, FMI, BCE, ESM per rianimare il paese e impedire il crack del sistema bancario. Domani consiglio dei governatori della BCE.

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Dopo l’”accordo” del primo ministro greco con l’Eurogruppo i mercati festeggiano l’allontanamento dello spettro della Grexit ed il salvataggio del sistema bancario greco. Tuttavia le banche greche restano chiuse fino a nuovo ordine, ufficialmente in attesa che il Parlamento greco sdogani il primo set di riforme ad effetto immediato. Pensa che potremmo essere pronti per una riapertura entro questa settimana?
Non credo. Il quadro dietro al prolungamento dei controlli di capitale sulle banche greche potrebbe essere più complesso. Il 13 luglio Draghi ha lasciato di nuovo il livello dei fondi di emergenza (l’ELA) della BCE invariato a 89 miliardi. Questo dovrebbe concedere ancora qualche giorno di liquidità alle banche elleniche. Dopo, nonostante il limite di 60 euro giornalieri imposto al prelievo di contante, le banche esaurirebbero il denaro ed i bancomat si spegnerebbero.

Ma, ad accordo firmato, Draghi non potrebbe semplicemente riaprire i rubinetti dell’ELA innalzandone il limite? Le banche dunque potrebbero riaprire e sbloccare i depositi.
Purtroppo le cose non sono così semplici. Per accedere ai finanziamenti le banche hanno bisogno di titoli da dare in garanzia alla BCE ed al momento le banche greche hanno solo titoli del governo greco per una quindicina di miliardi, forse meno. E questi titoli valgono circa la metà: secondo le ultime valutazioni la BCE li accetta solo al 50% del loro valore, visto che la loro solvibilità è quantomeno dubbia, per usare un eufemismo. Dunque le banche greche potrebbero accedere solo a 7 forse 10 miliardi in più, nei fatti. Se si considera che prima della limitazione ai prelievi l’emorragia di depositi in Grecia aveva raggiunto il ritmo di oltre 1 miliardo al giorno, si capisce che, ELA o non ELA, le riserve durerebbero solo una manciata di giorni.

Quindi una reale soluzione del problema dovrebbe prevedere che la BCE intervenga rivalutando gli attivi delle banche greche?
La BCE certo potrebbe ridurre gli haircuts (svalutazioni) ora applicati sui titoli greci; però i criteri (riservati) dipendono dai rating delle agenzie, che oramai sono stati ridotti a livello di default. Quindi la BCE da sola non ha molti margini di manovra. A meno che qualche importante agenzia non si offra di alzare in maniera ultrarapida il livello del rating, come traspare dalle ultime voci di mercato.

Esaminando il testo dell’accordo, grande peso è dato alla ricapitalizzazione del sistema bancario greco. Quasi il 30% dei fondi sono destinati a questa finalità.
Ritengo che il testo dell’accordo lasci parecchi dubbi sul futuro del sistema bancario greco, anche oltre l’immediato. Anche se riuscissero a riaprire presto, le banche greche sono al collasso; non dimentichiamo infatti che quasi metà del loro capitale è fatto da crediti fiscali verso il Governo greco. Considerando che le banche sono a partecipazione maggioritaria dello Stato e quindi è come dire che la dotazione di capitale delle banche è artificiosamente supportata da una partita di giro con le finanze statali. D’altronde secondo lo stesso Eurogruppo avrebbero bisogno di 25 miliardi di € minimo, di cui 10 subito attraverso un conto speciale presso l’ESM.

Questi aiuti sarebbero però garantiti dal Fondo di liquidazione che è stato oggetto della parte più accesa della discussione all’interno dell’Eurogruppo. Si parla di 50 miliardi di garanzie.
Questa liquidità sarebbe sì garantita da asset di pregio dell’economia greca (Dijsselbloem ha parlato esplicitamente di porti, aeroporti, autostrade), da liquidare sul mercato attraverso un conto segregato per oltre 50 miliardi però per quanto questa sia la clausola più umiliante dell’accordo imposto alla Grecia, sul valore reale di queste garanzie c’è parecchio da discutere. All’Eurogruppo sembrano avere ignorato i deludenti risultati raggiunti dal Fondo Monetario Internazionale che nel 2011 aveva avviato una soluzione simile. Il FMI aveva infatti puntato sulle privatizzazioni nei settori principali dell’economia greca, prevedendo oltre 16 miliardi di nuova liquidità per il governo entro il 2015: nella realtà solo 3 miliardi si sono materializzati, tant’è che il Fondo ha rivisto le sue previsioni per i prossimi anni a soli 500 milioni. Una cifra di 100 volte inferiore ai 50 miliardi di euro previsti dall’Eurogruppo che sembrano assomigliare a degli irrealizzabili desideri.
La realtà è che le condizioni del sistema bancario greco sono terminali. Il cuore dell’economia greca avrà bisogno di una formidabile azione coordinata della BCE, dell’ESM e di alcuni “supporti” esterni (agenzie di rating o FMI) per “defibrillare” e ricominciare a battere.

Però il “paziente Grecia” può ancora essere rianimato.
Sì, è ancora possibile, ma una cura dovrebbe considerare una ristrutturazione del debito, ovvia per tutti (FMI incluso) ma non per l’Eurogruppo, che si è appellato ad una rigida interpretazione dei Trattati per evitarla. Deve essere chiaro che non si è trattato di motivazioni finanziarie, visto che il debito greco vale solo lo 0,3% rispetto a quello europeo, ed un’ipotesi di swap come da me delineata qualche giorno fa sul Wall Street Journal poteva risolvere il problema senza costi immediati per le parti in causa.

Però non è questa certo la linea che sembra passata nella riunione fiume dell’Eurogruppo. Il suo punto di vista?
È prevalsa chiaramente la volontà politica di “punire” la Grecia per “educare” Portogallo, Spagna, Italia e Francia: sul debito l’Europa core non transige. Nel breve termine questa linea politica potrebbe scoraggiare “avventure” sullo stile di Syriza, ma difficilmente un’Europa basata sull’intimidazione potrà veramente migrare verso un’integrazione fiscale ed economica. Anzi, il rischio è che si sia dato impulso ad un trend di progressiva dissoluzione.