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MONDO

Il giudice dà ultimatum alla pubblica accusa

Caso Marò, ennesimo rinvio. De Mistura: "Chiesto il rientro in Italia per Latorre e Girone"

Iniziata ma poi subito rinviata a lunedì prossimo l'udienza presso la Corte Suprema di Nuova Delhi che doveva esaminare il ricorso italiano per conoscere i capi d'imputazione per i due fucilieri di Marina. Il giudice ha imposto il limite di una settimana alla pubblica accusa

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I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
New Delhi (India)
C'era quasi da aspettarselo: un altro rinvio. L'ennesimo rinvio nella vicenda dei 2 marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Un rinvio che oggi, dopo due anni di detenzione in India, inizia a infastidire non poco.

Udienza il 10 febbraio
Oggi, infatti, doveva svolgersi presso la Corte suprema di Nuova Delhi l'esame del ricorso italiano volto a costringere le autorità indiane a formulare i capi d'imputazione per la morte dei due pescatori del Kerala, nel febbraio 2012, e di cui sono accusati i nostri marò. L'udienza è stata, però, dopo 10 muniti, rinviata al prossimo 10 febbraio.

Ultimatum del giudice alla pubblica accusa
Ma ecco la nota positiva nella vicenda: il giudice della Corte di Suprema di Nuova Delhi, Bs Chauhan, questa mattina, dopo aver ascoltato le ragioni del ricorso italiano, ha imposto alla pubblica accusa un ultimatum di "una settimana per presentare una soluzione sulle modalità di incriminazione dei marò". Entro il 10 febbraio, dunque, il ministero dell'Interno di Nuova Delhi dovrà decidere se invocare la legge anti-pirateria, che prevede la pena di morte, contro i due fucilieri del battaglione San Marco.

De Mistura: chiesto il rientro in Italia per i due marò
Per la prima volta dall'inizio di questa intricatissima vicenda, presente in aula l'inviato del governo Staffan de Mistura accompagnato dall'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini. De Mistura ha subito riferito alla stampa di aver chiesto alla Corte, "di fronte all'indecisione della pubblica accusa, che i marò siano autorizzati a tornare in Italia". "E questa richiesta - ha insistito l'inviato del governo italiano - la ripeteremo con forma anche lunedì prossimo indipendentemente dall'esito dell'udienza". Prima dell'inizio dell'udienza De Mistura ha avuto un fitto colloquio con il Procuratore generale GE Vanvahati, prima dell'inizio dell'udienza di oggi sul caso dei marò. L'inviato speciale del governo ha definito il colloquio "franco e schietto". Il rappresentante del governo indiano aveva chiesto al giudice un rinvio dell'udienza da 2 a 3 settimane per permettere al governo di ufficializzare la propria posizione. "Ma noi sappiamo benissimo che sarebbero diventate 4 o 5 settimane o di piu'", ha detto De Mistura.  

"Troppi 25 rinvii"
"La Pubblica accusa - ha aggiunto De Mistura - non può più giocare con i tempi. Abbiamo ricordato tramite il nostro avvocato che ci sono stati 25 rinvii giudiziari senza un pezzo di carta". "Prima l'unica linea rossa era il non utilizzo del Sua Act. Ora anche lo sono diventati anche i ritardi". Alla domanda dei giornalisti su cosa farà se si dovesse rinunciare al Sua Act, sorridendo ha risposto "ve lo dirò lunedì", dopo aver precisato che sarà di nuovo nell'aula della Corte Suprema.

Udienza attesissima
L'udienza che si terrà, quindi, lunedì prossimo è molto attesa. Due giorni fa il Tribunale speciale aveva infatti deciso di rinviare la sua udienza al 25 febbraio proprio alla luce della sentenza del ricorso italiano. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha auspicato che dall'udienza escano almeno i capi d'accusa e ha ribadito che i "marò erano in servizio e quindi non si può applicare la legge antiterrorismo", che prevede la pena di morte. 

I moniti di Napolitano e di Barroso
Il caso dei due marò torna davanti ai giudici indiani dopo settimane di pressing diplomatico da parte dell'Italia e dell'Europa culminate nei giorni scorsi con il forte richiamo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - che ha rimproverato alle autorità indiane di aver gestito il caso "in modi contraddittori e sconcertanti" - e i moniti del capo dell'esecutivo europeo Josè Manuel Barroso.