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SALUTE

Clima e agricoltura

Agricoltura europea minacciata dal riscaldamento climatico

Una ricerca condotta presso la Stanford University (Usa) dimostra che anche un modesto innalzamento della temperatura globale potrebbe avere un pesante impatto sull'agricoltura europea

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di Stefano Lamorgese
Il clima cambia, sta cambiando, si riscalda. Ormai lo negano solo i lobbisti dei comparti economici più coinvolti come causa del fenomeno. Ma, se la consapevolezza planetaria è diffusa, non lo sono altrettanto gli studi che analizzano l'evoluzione del cambiamento in atto e i suoi effetti potenziali sulle attività umane.

Una ricerca - "Farmer adaption in Europe", condotta dalla Stanford University, tra i più prestigiosi atenei statunitensi, mette ora in luce i riflessi che il riscaldamento climatico potrebbe avere sulla produzione alimentare europea.

Il crollo
In Europa un aumento medio di soli 3,5 °F (circa due gradi centigradi) - che è quanto ci si aspetta da qui al 2040, secondo le previsioni più ottimistiche - porterebbe un calo della produzione di grano e orzo pari al 20%. Un crollo che si aggiungerebbe a a quello della produzione di mais, prevista in calo del 10%.

"La ricerca mostra chiaramente che anche un modesto innalzamento della temperatura produrrebbe un calo drammatico della produzione" spiega la dottoranda Frances Moore, che ha condotto lo studio con il professor David Lobell, associato di scienze ambientali.

Analizzando i dati raccolti tra il 1989 e il 2009 dal rapporto che l'Unione Europea redige ogni anno sulle attività agricole e intrecciandoli con 13 diversi modelli di evoluzione del clima, gli studiosi americani hanno potuto misurare il calo; ma risulta assai più arduo adombrare le soluzioni per adattarsi al cambiamento.

Se - sulla carta - solo il granturco può essere considerato come una coltura adattabile (ha un potenziale di recupero pari all'87% delle perdite dovute al cambiamento climatico), molto meno chiaro è infatti il futuro del grano e dell'orzo.

Conclusioni e dubbi
La scienza, si sa, deve attenersi ai dati sperimentali. Ma non si stupirebbe nessuno se - da simili premesse - qualche rimedio venisse individuato in un più largo impiego di sementi geneticamente modificate, magari prodotte proprio negli Usa. Gli agricoltori e i legislatori europei sono scientificamente avvertiti.