Original qstring:  | /dl/archivio-rainews/articoli/Il-conflitto-in-Yemen-e-le-forniture-militari-italiane-ai-sauditi-Intervista-a-Mimmo-Cortese-Opal-Roma-sbaglia-7bee2f1b-5c22-4ab2-93fd-962ce142069b.html | rainews/live/ | true
MONDO

L'intervista

La guerra in Yemen e le forniture militari italiane ai sauditi. Mimmo Cortese (OPAL): "Roma sbaglia"

L’inchiesta del New York Times sulle bombe italiane utilizzate dall’aeronautica militare saudita nel conflitto in Yemen ha riacceso l’attenzione e il dibattito sulle esportazioni di armamenti.  Facciamo il punto della situazione con Mimmo Cortese, membro del Consiglio scientifico dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia

Condividi
di Pierluigi Mele
L’inchiesta del New York Times sulle bombe italiane utilizzate dall’aeronautica militare saudita nel conflitto in Yemen ha riacceso l’attenzione e il dibattito sulle esportazioni di armamenti. Sollecitata dal prestigioso quotidiano d’oltreoceano, la Farnesina ha diffuso un comunicato e diversi commentatori hanno cercato di giustificare le forniture di sistemi militari alle forze armate della monarchia saudita. Nei giorni scorsi, a fronte della gravissima situazione umanitaria nello Yemen per il perdurare del conflitto, la Norvegia ha annunciato la sospensione delle esportazioni di armamenti oltre che ai sauditi anche agli Emirati Arabi Uniti. Il Parlamento europeo si è già ripetutamente espresso chiedendo di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita. Intanto, per garantirsi autonomia nel munizionamento militare, l’Arabia Saudita ha fatto sorgere una fabbrica alle porte di Riad. Facciamo il punto della situazione con Mimmo Cortese, membro del Consiglio scientifico dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia.

L’inchiesta del New York Times sulle bombe prodotte in Sardegna dalla RWM Italia ed utilizzate dall’aviazione saudita nei bombardamenti anche sulle zone civili in Yemen ha riportato all’attenzione pubblica il conflitto che si sta consumando nello Yemen. Dopo oltre mille giorni di conflitto, qual è la situazione in Yemen? 

La situazione è terribile. Un paese già molto povero è stato devastato dalla guerra e dalle sue conseguenze più nefaste come le malattie e l’indigenza. Le Nazioni Unite l’hanno definita “la più grande crisi umanitaria al mondo“. Non è possibile avere dati precisi, ma i morti civili stimati dalle agenzie internazionali vanno dai 20mila ai 40mila, con 7 milioni di persone ridotte alla fame. Secondo il capo degli Affari umanitari dell’Onu, Mark Lowcock, ci troviamo davanti alla “più grande carestia che il mondo abbia mai visto da molti decenni, con milioni di vittime”. Inoltre, 800mila persone sono state colpite dall’epidemia di colera, la più grave oggi nel mondo, che ha già causato già più di 2mila morti. E mentre continuano abusi e bombardamenti indiscriminati stiamo anche assistendo al ritorno della difterite, una malattia che si ripresenta quando vengono meno i servizi sanitari e idrici di base. L’inviato speciale del Segretario Generale dell’ONU ha inequivocabilmente affermato che “non esiste una soluzione militare al conflitto“ e ha ribadito che “solo un processo di pace inclusivo che includa tutte le parti nello Yemen può portare una soluzione pacifica, fattibile e sostenibile per il popolo dello Yemen”.


In questo quadro così drammatico ha suscitato non poche critiche la risposta del governo italiano al reportage del New York Times. In un comunicato, la Farnesina afferma che “l’Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazioni di armamenti” che “l’Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea”. Voi insieme alla Rete italiana per il Disarmo e diverse altre associazioni già da tempo criticate queste posizioni, perché? 

Riteniamo sia un’affermazione grave poiché manifesta non solo un’inammissibile ignoranza ma soprattutto perché rappresenta un’evidente intenzione di ridurre la portata della norma da parte del Ministero degli Esteri. La legge 185/90, che regolamenta l’export di armamenti, non vieta solamente le forniture a Paesi sottoposti a misure di embargo, ma anche “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa”. Come ha ben documentato, Giorgio Beretta, uno dei nostri principali analisti, le forniture di armamenti ai sauditi violano anche un’importante norma comunitaria, la Posizione Comune europea sulle esportazioni militari. La Farnesina e il governo italiano, inoltre, hanno del tutto ignorato tre risoluzioni adottate ad ampia maggioranza dal Parlamento Europeo che hanno chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, Federica Mogherini, di avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita. Risoluzioni, va detto, cui l’Alta Rappresentante finora non ha dato alcun seguito.


Nei giorni scorsi, sul sito “Affari Internazionali” è apparso un articolo di Michele Nones, consulente del Ministro della difesa Pinotti, in cui si afferma che sia “fuorviante” sostenere che “l’Arabia Saudita andrebbe considerata come coinvolta in un conflitto perché interviene insieme ad altri paesi a sostegno del governo dello Yemen”. E lo collega alla lotta al terrorismo internazionale. Come valuta questa posizione?

Innanzitutto va detto che l’intervento militare della coalizione a guida saudita non è mai stato legittimato dal Consiglio di sicurezza delle Nazione Unite. La Risoluzione 2216 del 14 aprile 2015, infatti, prende solo atto della richiesta del presidente yemenita ai Paesi del Golfo e della Lega Araba di intervenire con tutti i mezzi, compreso quello militare, per – si noti bene – “proteggere lo Yemen e la sua popolazione”. L’intervento militare che ne è seguito ha invece visto pesanti bombardamenti da parte della coalizione saudita anche sulle zone abitate da civili. Bombardanti effettuati anche con bombe fornite dall’Italia e che il rapporto degli esperti dell’Onu ha dichiarato che “possono costituire crimini di guerra”. Riguardo al contrasto al terrorismo internazionale va segnalato che nello Yemen sia Al Qaeda che l’Isis-Daesh si sono rafforzati ed hanno guadagnato posizioni proprio a seguito del protrarsi del conflitto. L’affermazione del professor Nones ritengo sia incommentabile, soprattutto di fronte alla tragedia che stanno vivendo milioni di persone in Yemen. Anche per questo abbiamo chiesto alla Ministra Pinotti di chiarire se quelle dichiarazioni rappresentano il suo pensiero.

Il professor Nones inoltre parla, in riferimento alla guerra in Yemen e alla lotta al terrorismo, di “inevitabili vittime civili”. Un’aberrazione in senso generale che diventa però assolutamente inaccettabile di fronte alla catastrofe umanitaria di cui stiamo parlando. Stabilire che decine di migliaia di persone debbano morire, indiscriminatamente, per una scelta politica avallata da un governo di una nazione come l’Italia che, sollevatasi dalla tragedia del fascismo e della Seconda guerra mondiale, ha scritto, nell’articolo 11 della Costituzione, che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” rappresenta un chiaro stravolgimento del nostro dettato costituzionale.


Intanto ci sono nuove notizie. Nei giorni scorsi il Ministero degli esteri della Norvegia ha comunicato di aver sospeso le licenze all’export di armi e munizioni agli Emirati Arabi Uniti per i rischi associati all’impegno militare degli Emirati in Yemen. Il recente rapporto del vostro Osservatorio riporta, invece, che l’Italia non solo ha incrementato l’esportazione di armamenti all’Arabia Saudita, ma che continua a rifornire di munizionamento anche gli Emirati Arabi Uniti.

 La Norvegia ha da tempo vietato le esportazioni di sistemi militari all’Arabia Saudita, così come hanno fatto altri paesi dell’Unione come Germania, Svezia e Paesi Bassi. Questa nuova decisione è stata presa anche sulla spinta di diverse campagne di pressione da parte di associazioni norvegesi ed europee per la tutela dei diritti umani. Il nostro paese, invece, continua ad esportare bombe non solo agli Emirati ma anche ai sauditi: la licenza per la fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe del tipo MK 82, MK 83 e MK 84 del valore di 411 milioni di euro, rilasciata dal governo Renzi nel 2016, rappresenta la maggiore autorizzazione per l’esportazione di bombe aeree mai rilasciata da un governo italiano dal dopoguerra. Il fatto preoccupante tuttavia è che vendiamo armi, con trend sempre crescenti negli ultimi anni, a paesi nei quali i diritti umani sono gravemente violati e in zone di forte tensione se non a paesi chiaramente in conflitto.


Nei giorni scorsi però è apparsa la notizia che la Rheinmetal Defence potrebbe trasferire l’attuale produzione di bombe aeree dalla Sardegna alla sua azienda in Arabia Saudita. Qual è stata finora la posizione dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali? E qual è la sua opinione in merito?

L’investimento militare, benché redditizio, è per sua natura instabile. Lo dimostrano numerosi studi e ricerche e lo sanno bene gli analisti economici del settore. In questo caso – anche mettendo tra parentesi, solo per un momento, il problema non semplice della fabbricazione di ordigni letali – quando si punta su una produzione legata alla contingenza di un conflitto armato, è difficile pensare che non possano accadere situazioni come quella che si sta profilando alla RWM. Le delocalizzazioni non sono un fenomeno nato ieri. Il punto centrale, tuttavia, è che proprio l’articolo 1 della legge 185/90 impegna il Governo a predisporre “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”. Sono lustri che non vediamo attuata questa importante prescrizione di una legge dello Stato: se venisse messa in atto, anche situazioni come quelle che sta vivendo la Sardegna potrebbero essere scongiurate.

La foto è tratta dall'inchiesta del NYT