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MONDO

Stati Uniti

Il "razzismo sistemico" dietro agli scontri per la morte di George Floyd

La comunità nera continua a trovarsi e a sentirsi oppressa da una micidiale rete di gap economici incolmabili, normative di fatto discriminatorie, preclusione di opportunità che concorrono a generare un asfissiante senso di esclusione e inferiorità 

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di Oliviero Bergamini
“Razzismo sistemico”, “istituzionale”, “strutturale”. Dietro ai disordini esplosi per la morte di George Floyd a Minneapolis non c'è solo la rabbia per l'ennesima brutalità della polizia contro una persone di colore, ma anche una frustrazione profonda, vissuta visceralmente dagli Afro Americani per le loro condizioni. Quasi 160 anni dopo l'abolizione della schiavitù e più di 50 anni dopo la morte di Martin Luther King, la comunità nera continua a trovarsi e a sentirsi oppressa da una micidiale rete di gap economici incolmabili, normative di fatto discriminatorie, preclusione di opportunità, sottorappresentazione mediatica e politica, che concorrono a generare un asfissiante senso di esclusione e inferiorità. 

I dati economici sono noti: il tasso di disoccupazione dei neri è doppio rispetto a quello dei bianchi, il loro reddito fortemente inferiore, la differenza di ricchezza patrimoniale impressionante: il valore mediano del patrimonio delle famiglie bianche è di 170.000 dollari, per quelle nere è di 17.000 dollari: un decimo! 

Si tratta di disparità generate e mantenute da meccanismi radicati nella storia. Durante il New Deal, ad esempio, l'ondata di finanziamenti federali per mutui per l'acquisto di case andò quasi esclusivamente ai quartieri bianchi, mentre quelli neri (considerati meno affidabili) ne vennero sistematicamente esclusi. E questo contribuì a consolidare un divario di ricchezza strutturale. 

Per un bianco è difficile comprendere i mille modi in cui un nero viene discriminato, in ogni ambito e aspetto della sua vita. Pessime scuole, banche che negano i prestiti necessari per avviare un'impresa, grandi difficoltà a trovare lavori qualificati (uno studio ha dimostrato che i curricula di persone con nomi “afro-americani” ottengono dalle aziende la metà delle risposte rispetto a quelli con nomi “razzialmente neutri”.) 

E poi c'è la paura costante delle violenze della polizia. I genitori neri spiegano fin da piccoli ai loro figli che se vengono fermati dagli agenti non devono protestare, ma al contrario, devono accettare ogni abuso e umiliazione senza reagire. Anche il sindaco Bill de Blasio ha ammesso di averlo fatto con suo figlio, avuto dalla moglie afro-americana. Quasi mai i poliziotti che feriscono o uccidono afroamericani subiscono condanne penali. La gran parte degli afroamericani non si sente protetta, ma minacciata dalle forze dell'ordine. Dover ammettere questa condizione di vulnerabilità, dover riconoscere la propria sconfitta civile e sociale, ha effetti psicologici terribili, come ben ha spiegato l'intellettuale nero Ta-Nehisi Coates nel suo pamphlet “Tra il mondo e me”. 

C'è tutto questo dietro a tumulti che sanno di disperazione.