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MONDO

L'analisi di Stefano Silvestri

Guerra e terrore, ma l'Isis non si sconfigge con l'intervento militare: la strategia Obama

Il boia sfida gli Usa e spera nell'intervento sul campo per gridare alla guerra contro l'oppressore. Secondo l'esperto di difesa Stefano Silvestri l'unica chance di Obama è non rispondere alle crudeli provocazioni dello Stato Islamico

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Il leader dell'Isis Abu Bakr al-Baghdadi
di Roberta Rizzo
Steven Sotloff sapeva come sarebbe andata a finire. La politica degli Stati Uniti è da sempre quella di “non cedere al ricatto”. Ma l’Isis ha una strategia ugualmente chiara: far crollare Obama davanti alle immagini dei due reporter Usa sacrificati brutalmente. Una trappola certo. Il boia sfida gli Usa e spera nell'intervento sul campo per gridare alla guerra contro l'oppressore. Obama questo lo sa. Vero però è che il numero uno della Casa Bianca deve fronteggiare la spinta interna. Cresce infatti la paura e con essa chi cavalca la fronda di chi chiede al presidente di intervenire: repubblicani, certo, ma anche alcuni esponenti democratici di spicco. 

Ma la risposta del presidente, ora, non può che essere una sola, spiega Stefano Silvestri, esperto di difesa e fino al 2013 alla guida dello Iai, Istituto di Affari Internazionali:

“Quello che Obama vuole fare, ed è la cosa più logica, è operare in modo da indebolire le cellule terroristiche dell’Isis in Siria e in Iraq attraverso azioni di appoggio a curdi, sciiti, miliziani di Assad che già combattono sul territorio. Un intervento da terra in Iraq ora sarebbe un errore. Non c’è nessuna necessità: questi  gruppi terroristici sono in parte sopravvalutati: usano l’effetto mediatico dettato dall’orrore di quelle immagini ma finora, quando si sono scontrati con un esercito regolare come è successo in Libano ad esempio, hanno sempre avuto la peggio. In più un intervento via terra accrescerebbe il problema dei rapporti con l’Iran che, alla luce di questa minaccia, sembrano invece aver imboccato la strada della distensione.

Un eventuale alleanza con l’Iran sciita anti-Isis è davvero possibile? Come cambieranno gli equilibri dell’area?
Prima bisogna superare la barriera ideologico e politica da parte dell’Iran: è un processo lungo, di maturazione ma anche Teheran si sta rendendo conto che una spaccatura del Medio Oriente fra sunniti e sciiti può portare seri problemi in casa propria. Un eventuale alleanza con gli Usa non è che un fattore positivo in grado di portare maggiore stabilità nel Golfo Persico.

Cosa vogliono davvero gli jihadisti?
Vogliono ridiscutere l’ordine degli Stati del Medio Oriente uscito dalla Prima Guerra Mondiale. Dopo la Primavera Araba, i vecchi Stati laici dei leader panarabi sono stati eliminati e l’Isis ha visto aperte le possibilità di rimettere in gioco i confini basandosi però sulle divisioni religiose. Un panorama geopolitico simile sarebbe un disastro politico ma anche economico per tutta l’Europa.

Obama non è stato in grado di cavalcare quell’onda di rinnovamento che veniva dalla primavera araba?
Il presidente Usa è stato sfortunato. Ha tentato per la prima volta, dall’11 settembre, di aprire al mondo islamico ma l’ha fatto nel momento peggiore: con interlocutori non credibili come erano appunto i Fratelli Musulmani, ottenendo il risultato di spaventare gli altri musulmani. Paura che i miliziani dello Stato islamico hanno saputo cavalcare.

Il vuoto d’intervento da parte americana può essere colmato?
L’Europa ha interesse a riempire parte di questo vuoto che altrimenti potrebbe essere colmato da paesi molto interessati a farlo come la Russia e la Cina.