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Coronavirus

“Per bambini, anziani e donne, maggiori effetti negativi dal lockdown”

Istat, Freguja: “Attenzione a disuguaglianze e povertà, effetti della pandemia"

"La condizione dei giovani desta preoccupazione, rischio ipoteca sul futuro del Paese” avverte il Direttore centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat. “Deprivazione e povertà potranno essere sperimentate anche da chi, prima dell’emergenza sanitaria, non si collocava tra i poveri”

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di Tullia Fabiani
“Nel nostro Paese persistono forti disuguaglianze nelle condizioni di benessere legate, oltre che al territorio, al livello di istruzione, al genere e alle generazioni. Gli svantaggi delle donne rispetto al mercato del lavoro e alla qualità dell’occupazione sono ancora notevoli, anche per effetto del loro forte impegno nelle attività di cura e nelle difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e lavoro”. E “l’occupazione giovanile è stagnante, l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione dei giovani tra i 25 e i 34 anni, con forti differenze di genere e con un Sud del Paese in cui si concentrano i valori peggiori dell'indicatore”. Questo lo scenario di partenza - racconta Cristina Freguja, Direttore centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat - per valutare poi gli effetti sociali ed economici della pandemia. E l'impatto sul Paese.
 
Gli indicatori mostrano una situazione in peggioramento?
“Almeno nel nostro paese, la pandemia non ha ancora completamente dispiegato i suoi effetti dal punto di vista socio-economico e dovremo attendere qualche tempo affinché gli indicatori statistici mostrino con chiarezza come stanno cambiando le condizioni della popolazione e i diversi gruppi sociali che la compongono. A marzo 2020, ad esempio, nonostante l’emergenza COVID-19 fosse già in atto, l’occupazione ha registrato una sostanziale tenuta, anche per effetto dei decreti di ‘sostegno all’occupazione e ai lavoratori per la difesa del lavoro e dei redditi’. Per i dati sull’occupazione del mese d’aprile, di prossima uscita, ci attendiamo variazioni più importanti a fronte di una flessione del Pil nel primo trimestre dell’anno (del 4,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) che è stata di entità mai registrata dall’inizio del periodo di osservazione dell’attuale serie storica (1995). Sappiamo bene, però, in quali condizioni ci ha colti l’epidemia e a quali rischi stiamo andando incontro”.
 
E quali sono?
“Sebbene i dati provvisori del 2019 abbiano evidenziato una riduzione della povertà assoluta (il 6,5% delle famiglie e il 7,8% degli individui, contro rispettivamente il 7,0% e l’8,4% dell’anno precedente), siamo ancora lontani dall’incidenza del fenomeno che si registrava all’inizio della crisi economica (nel 2007, 3,5% delle famiglie e 3,1% degli individui). E’ evidente, dunque, che per alcuni settori della nostra società - quelli già svantaggiati, più vulnerabili, meno attrezzati - gli effetti del lockdown e della difficoltà di ripartenza delle attività possano ripercuotersi più negativamente rispetto ad altri, peggiorandone ulteriormente la condizione. Tuttavia, deprivazione e povertà potranno essere sperimentate anche da chi, prima dell’emergenza sanitaria, non si collocava tra i poveri. In assenza di un’adeguata protezione sociale e di altre entrate reddituali, alcune categorie di lavoratori (ad es. i dipendenti a tempo determinato del settore privato, alcuni lavoratori autonomi e quelli dell’economia informale), potranno subire più di altri gli effetti economici della pandemia”.
 
Un aumento delle disuguaglianze, dunque?
“Il rischio di contrarre il contagio non è uniforme nella popolazione. Prima di tutto perché alcune occupazioni espongono i lavoratori più di altre a questa situazione. Ad esempio, a parte le professioni sanitarie, sono spesso le occupazioni meno pagate ad aver richiesto la presenza nel luogo di lavoro anche durante il lockdown (addetti alle pulizie, alla sicurezza, alle consegne a domicilio, ecc.). Vale la pena sottolineare che rispetto alla possibile esposizione al virus le donne sono presenti in molti settori classificati a medio-alto e ad alto rischio. Sulla base della classificazione fornita dall’Inail sui diversi gradi di rischiosità dei settori in cui si opera, si calcola, infatti, che mentre gli uomini lavorano in settori a basso rischio nel 62,9% dei casi, per le donne questo valore scende al 37%. Viceversa, è più alta la quota di lavoratrici che opera in settori a rischio alto o medio-alto (28% contro 12%).  In secondo luogo, si deve tener conto che le pandemie sono legate alla globalizzazione e, quindi, tendono a interessare maggiormente le aree più ricche, sviluppate e popolose. Per contrastare una pandemia, però, è doveroso attuare politiche di sospensione delle attività produttive su tutto il territorio, con un forte impatto anche sulle regioni che si trovano in situazione economiche svantaggiate e che possono risentire di più della temporanea chiusura delle attività. Anche il rischio di mortalità non è ugualmente elevato tra i diversi gruppi sociali. E’ noto che il tasso di mortalità a causa del Covid-19 è molto più alto in presenza di malattie croniche e dato che bassi titoli di studio, più spesso associati a deprivazione e povertà, accrescono la probabilità di essere multicronici, una condizione economica disagiata aumenta in misura significativa il rischio di restare vittime del virus”.
 
Lockdown e distanziamento sociale: ci sono dati utili a capire come abbiano inciso queste misure, ad esempio, su bambini, donne e anziani?
“I bambini, gli anziani e le donne sono tra i segmenti di popolazione che, per ragioni diverse, hanno subito di più gli effetti negativi di queste misure.  Restare a casa, ad esempio, è stato più difficile per chi vive in abitazioni che non offrono uno spazio adeguato a ciascun componente della famiglia. Questo è stato sicuramente uno dei problemi più importanti per il 41,9% dei bambini che nel nostro Paese vive in abitazioni sovraffollate (contro il 27,8% della popolazione ).  Tra gli anziani invece, il segmento che ha potuto risentire maggiormente dell’isolamento è quello costituito da circa il 10% degli ultrasettantacinquenni che non hanno figli o che li hanno molto lontani.  Con le misure di distanziamento sociale e la prescrizione di rimanere a casa, inoltre, anche il rischio di violenza esercitato dal partner tra le mura domestiche può essere in aumento, come evidenziano le istituzioni internazionali che si sono mobilitate a questo proposito. In Italia, nel corso del lockdown sono aumentate in misura significativa le telefonate al numero verde messo a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio per sostenere e aiutare le vittime di violenza di genere e stalking. Va comunque precisato che su tale incremento può aver influito anche l’intensificazione della campagna d’informazione sul tema, mirata a sviluppare la consapevolezza e la capacità delle donne a utilizzare gli strumenti utili per chiedere sostegno”.
 
La mancata riapertura delle scuole e il proseguimento della didattica a distanza incidono sulle disuguaglianze?
“Anche in questo caso è la classe sociale a fare la differenza. È più probabile che un ragazzo con genitori istruiti abbia a disposizione un pc o un tablet per seguire le lezioni su web e, in generale, è più facile che egli possa risolvere grazie ai membri della sua famiglia le difficoltà che la didattica a distanza può aver generato nell’apprendimento.  L’emergenza ha evidenziato la necessità di avere a casa spazi sufficienti e una strumentazione informatica adeguata. Gli ultimi dati a nostra disposizione, che ci illustrano la situazione appena prima della pandemia, ci dicono che nelle famiglie mediamente più istruite (in cui almeno un componente è laureato) la quota di chi non possiede un computer o un tablet è solo del 7,7%, mentre sale al 14,3% se si guarda all’universo delle famiglie con almeno un minore. In particolare, la percentuale di ragazzi tra 6 e 17 anni che non dispone di un computer o un tablet a casa è il 12,3% a livello nazionale (850 mila), mentre questo valore raggiunge quasi un quinto nel Mezzogiorno (circa 470 mila, il 20%). Si deve tener conto poi che più della metà dei ragazzi che possiedono strumenti informatici deve condividerlo con altri membri della famiglia e questo può aver rappresentato un problema per chi ha fratelli in età scolare o genitori che lavoravano da casa, sommandosi alle difficoltà legate agli spazi non adeguati a mantenere il necessario isolamento acustico”.
 
Secondo i dati Istat in Italia, prima della pandemia, i bambini in povertà assoluta, assimilabili a quelli in povertà educativa, erano 1.200.000. Il numero potrebbe ancora crescere?
“Non c’è dubbio che il rischio di un incremento delle famiglie in povertà assoluta trascini con sé anche un aumento della povertà educativa.  Quando una famiglia non è in grado di acquistare il paniere di beni e servizi considerati essenziali in base all’età dei suoi componenti, alla ripartizione geografica e alla tipo del comune in cui vive, è del tutto probabile che non riesca a fornire ai ragazzi adeguate opportunità di istruzione”.
 
Ci sono previsioni tendenziali positive o negative quel che riguarda la stabilità e il tessuto sociale del Paese?
“Oggi nessun paese dispone ancora di informazioni sufficienti in grado di documentare compiutamente gli effetti sociali dell’emergenza sanitaria, per il breve lasso di tempo intercorso dall’inizio del manifestarsi della crisi e per il rapido succedersi di estensioni e aggiustamenti dei provvedimenti governativi. In Italia, nelle prossime settimane, quando la ripartenza si sarà avviata con maggior decisione, si cominceranno a mostrare con maggior chiarezza gli esiti socio-economici della pandemia che, peraltro, continueranno a dispiegarsi nel medio e lungo periodo.  Sappiamo fin d’ora, però, che il nostro Paese può contare su reti familiari e di volontariato che hanno già consentito di affrontare una lunga e intensa crisi economica. Il nostro tessuto sociale ha saputo resistere alle difficoltà, senza mostrare preoccupanti segnali di disgregazione (con l’aumento dei reati violenti ad esempio), come è avvenuto altrove”.
 
Interventi mirati?
“Gli interventi ad hoc del governo, così come le misure di protezione sociale già esistenti, svolgeranno un ruolo essenziale affinché questo patrimonio di solidarietà non venga fiaccato dalle circostanze attuali. Senza trascurare interventi di politica economica che dovranno agire sulle aree dal tessuto socio-economico più fragile, provato da più di un decennio di andamenti economici modesti e dalla mancanza di efficaci politiche di sviluppo”.
 
I numeri che oggi la preoccupano di più quali sono?
“Sono tanti i numeri a cui dobbiamo prestare attenzione, ma quelli che ci raccontano la condizione dei giovani sono tra quelli che destano maggiore preoccupazione, rischiando di mettere un’ipoteca sul futuro del nostro Paese. I giovani sono infatti i soggetti più a rischio di esclusione, sia perché quelli che si apprestavano a entrare nel mondo del lavoro dovranno aspettare più tempo per riuscire a farlo sia perché, tra gli occupati, i molti giovani con contratti temporanei o precari hanno la probabilità più alta di perdere il posto di lavoro. Ma a qualsiasi età, questo stesso rischio è corso anche da molti lavoratori autonomi, rispetto ai dipendenti (a tempo indeterminato) e, tra questi, soprattutto da quelli impiegati nel settore privato, senza parlare di quanti lavorano solamente nell'economia informale. Altro elemento di criticità è rappresentato dalle difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia, particolarmente in assenza di reti formali preposte alla cura e all’educazione dei bambini. In questo contesto, sono soprattutto le donne a poter sperimentare una maggiore difficoltà nel rientrare al lavoro. Insomma, gli effetti socio-economici della pandemia potranno essere efficacemente mitigati solo se le misure correttive saranno indirizzate anche a favorire l’occupazione di fasce di popolazione già penalizzate o trascurate dalle politiche pubbliche degli ultimi decenni”.