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MONDO

L'analisi

L'importanza del fattore umano nella crisi greca e nei negoziati iraniani

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di Lucy Marcus e Stefan Wolff
In teoria, oggigiorno, coloro che prendono le decisioni, dovrebbero affidarsi alle virtù dei Big Data, perseguire inesorabilmente una metrica quantitativa, e poi optare per l’intervento che questi potenti strumenti sembrerebbero indicare. Eppure, se c'è una cosa che la crisi greca ha espresso con chiarezza, è l'importanza del fattore umano nei negoziati. Le persone, le personalità, e il modo in cui si percepiscono reciprocamente, possono far sembrare non sostenibili i piccoli debiti o far sparire quelli grandi con una stretta di mano.
 
In un mondo che si sente sempre più instabile, molti cercano rassicurazione nell'illusione della certezza fornita dai dati. La vogliamo nel nostro giornalismo. La vogliamo nelle nostre decisioni di investimento. Vogliamo anche dei gadget che contino tutti i nostri passi e il battito cardiaco. Vogliamo tenere sotto stretto controllo il nostro benessere e il nostro futuro. Ma la crisi finanziaria greca ci aiuta a ricordare che la vita non è governata soltanto dai dati. Alla fine, i risultati possono - e spesso è così – dipendere dalle amorfe, ancorché essenziali, qualità essenziali dell’integrità, dell’affidabilità, e del feeling interpersonale.
 
L'importanza di questi fattori è risultata altrettanto chiara durante i negoziati sul programma nucleare iraniano. Se, durante le trattative greche, i protagonismi di parte e gli atteggiamenti nazionalistici hanno eroso la fiducia nei confronti dell’intero progetto europeo, i negoziatori sull’accordo iraniano hanno superato una mancanza di fiducia ancor più profonda. Con una posta in gioco forse più alta, e nonostante il coinvolgimento di un numero maggiore di protagonisti, con interessi sovrapposti e, talvolta, in conflitto, l’aver affidato il processo a professionisti della diplomazia, invece che a politici eletti, ha chiaramente dato i suoi frutti.
 
Per l'Europa c’è un’importante lezione da trarre. Chi viene scelto per guidare un paese o un’azienda deve possedere la giusta competenza tecnica (e i relativi team di supporto che snocciolano numeri) necessaria per prendere le giuste decisioni. Questo però non è mai abbastanza. Un leader efficace deve essere in grado non soltanto di rappresentare un punto di vista, ma anche di ben collaborare con gli altri per capirne il punto di vista. Se gli accordi – siano essi sulle modalità di salvataggio, sui programmi nucleari, o sulle fusioni societarie – potessero essere conclusi unicamente sulla base dei dati quantitativi, lo sarebbero. Ma non lo sono mai.
 
Per la Grecia e i suoi creditori, l'ultimo accordo è soltanto il primo passo. I sei mesi di accuse reciproche e rischi calcolati, che hanno preceduto l'accordo, hanno creato una colossale sfiducia sia tra i leader sia tra i cittadini.
 
Quando, in Sud Sudan o in Ucraina orientale, falliscono molteplici accordi di cessate il fuoco, o nello Yemen, in poche ore, si interrompe una tregua umanitaria, si dice che l’impegno di una o più parti non sia credibile. Analogamente, quando la parte greca propone essenzialmente lo stesso accordo per rifiutare il quale aveva appena indetto un referendum, o quando l'Eurogruppo dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, seguendo l'esempio della Germania, ignora tranquillamente l'insostenibilità del debito greco, va messa in dubbio la possibilità di concludere qualsiasi tipo di accordo.
 
Quello che farà funzionare questo accordo è una ratifica rapida e un’attuazione credibile giorno dopo giorno. A entrambe le parti servono incentivi per aderire all’accordo e deterrenti per non violarlo. In particolare, come condizione ulteriore, l’essenziale riduzione del debito per la Grecia, previa attuazione dell’accordo, dovrebbe essere un modo per impegnare le due parti.
 
Un curriculum di mancate attuazioni - di accettazione di salvataggi senza attuare le riforme necessarie per riconquistare la solvibilità - crea un clima in cui concludere un accordo diventa sempre più difficile. I rischi sono troppo alti, soprattutto quando ogni sviluppo nei colloqui viene utilizzato per ottenere un vantaggio di parte, far sembrare più intelligente un leader, etichettare vincitori e vinti, o minare i progressi compiuti sminuzzando dati.
 
E’ merito dei leader europei coinvolti nei negoziati se un accordo è stato raggiunto a fronte di un’enorme incertezza. Oltre alle risorse finanziarie, essi hanno impegnato un significativo capitale politico in un momento epocale per l'Europa.
 
Data la mancanza di fiducia tra le parti interessate all'accordo, la situazione rimarrà ancora per qualche tempo estremamente volatile. I dati quantitativi saranno necessari per monitorare i progressi della Grecia nella realizzazione delle riforme concordate, nonché per determinare la portata di un'ulteriore riduzione del debito. Ma né la Grecia, né l'Europa riacquisteranno un senso di stabilità soltanto perché i conti quadrano. Dovranno quadrare anche le qualità personali dei leader e l’incrollabile volontà e determinazione che hanno avuto nel portare a termine l’accordo.