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POLITICA

Dal 10 maggio 2006 al 14 gennaio 2015

L'uomo dello Stato: le tappe principali degli anni di Napolitano al Quirinale

La prima elezione, la vittoria dell'Italia ai mondiali, la crisi economica, il 2011 e l'estate dello spread. La nomina di Mario Monti a Senatore a vita e il suo avvento a Palazzo Chigi. Le elezioni del 2013, l'assenza di una maggioranza il Parlamento. L'invito delle forze politiche ad accettare un secondo mandato. L'avvento di Matteo Renzi al governo, il cammino delle riforme e l'addio al Quirinale

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di Mario De Pizzo
La prima elezione
I quasi nove anni di Giorgio Napolitano da presidente della Repubblica cominciano il 10 maggio 2006. Napolitano viene eletto al quarto scrutinio, con 543 voti. Sostenuto dalla coalizione dell’Unione, dai Ds, dalla Margherita e dalla sinistra radicale. Il centrodestra dichiara la propria contrarietà, non votando per “l’ex ministro degli Esteri del Pci”. Anche se alcuni parlamentari dell’Udc – tra i quali il segretario dello scudo crociato Marco Follini – votano per l’ex presidente della Camera e senatore a vita. Giorgio Napolitano diventa presidente della Repubblica a 80 anni. Al suo nome si arriva dopo che una serie di veti incrociati lascia fuori  dalla corsa diversi esponenti politici, tra i quali gli ex premier Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Napolitano è il primo ex comunista a salire al Colle. Da comunista era stato il primo tra i suoi – nel 1978 - ad ottenere il visto di soggiorno – per un tour di conferenze universitarie – negli Stati Uniti. Dopo Nilde Iotti e Pietro Ingrao, il terzo esponente del  Pci a diventare presidente della Camera nel 1992, l’anno caldo di Tangentopoli e del crollo della prima Repubblica.  Nel 1996,  il primo esponente del mondo comunista a diventare ministro degli Interni, considerato da sempre “la sala macchine” dello Stato. Nel 2005 viene nominato da Carlo Azeglio Ciampi senatore a vita. 

Il governo Prodi, i mondiali di calcio, le elezioni anticipate, il ritorno di Berlusconi

Il settennato di Napolitano prende avvio con la nascita del secondo governo Prodi. In estate, la nazionale di calcio vince i campionati del mondo. Il capo dello Stato segue la squadra e lo sport – come nel 1982 con Sandro Pertini al Colle - diventa un momento fondante dell’identità condivisa del Paese. Dopo due anni, il governo cade e Napolitano scioglie le Camere, dopo aver sollecitato un tentativo di un esecutivo per  il varo delle riforme costituzionali. Un tema sempre caro al presidente, come quello dei giovani e quello del lavoro. Il 2008 è l’anno della grande crisi economica. Le elezioni consegnano una larga maggioranza al centrodestra di Silvio Berlusconi, che forma il suo quarto governo. Dopo un anno, il dibattito politico comincia ad essere condizionato da una forte dialettica tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il Pdl – partito cofondato da proprio dall’ex capo di An e dall’ex cavaliere – implode. Fini battezza "Futuro e libertà", una nuova formazione che a dicembre  2010 prova a sfiduciare il governo, ma senza successo. Il 2011 è anche l’anno del 150mo anniversario dell’Unità di Italia che Napolitano celebra anche per spronare il Paese alla "coesione". 

2011, la lettera Bce, la nomina di Mario Monti
L’estate del 2011 è molto “torrida” e si apre con la famosa lettera Draghi – Trichet. Con la missiva, l'Eurotower chiede al ministro dell'Economia Tremonti e al premier Silvio Berlusconi di "anticipare il pareggio di bilancio al 2013, con un fabbisogno netto dell'1% nel 2012, principalmente attraverso tagli di spesa". Proprio a luglio lo spread tra il Btp italiano e il bund tedesco comincia a crescere. La lettera della Bce indica questa strada: "È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, le sfide principali sono l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro. E' necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme”. Subito dopo aver ricevuto la lettera - nei primi giorni di agosto - il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti convocano una conferenza stampa, nella quale "ammettono di dover riscrivere la legge di bilancio", licenziata un mese prima. Gli sforzi del governo non tranquillizzano i mercati. Il venir meno della maggioranza alla Camera, nel giorno del voto sul rendiconto dello Stato, fa sì che Silvio Berlusconi rassegni le dimissioni l'otto novembre.  Il 9 novembre 2011 lo spread tocca la quota record di 552 punti base. Lo stesso giorno il capo dello Stato Giorgio Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita, per poi conferirgli l’incarico di formare un governo tecnico. Con il nuovo esecutivo, il differenziale Btp Bund scende a 368 punti il 6 dicembre 2011. A fine anno, subisce una risalita, fino ai 528 punti dell’ultima seduta del 2011. Nei mesi successivi, si registra una "consistente discesa". La nomina di Mario Monti a senatore a vita rappresenta una vera e propria “investitura” da parte del Colle, un atto di "legittimazione politica”, come sottolineano alcuni costituzionalisti.  Da altre parti (ad esempio il giornalista Alan Friedman nel libro “Ammazziamo gattopardo”), si è parlato di colloqui tra il Colle e il professor Monti in corso già da luglio. Quello guidato dall’ex commissario europeo è il primo dei “tre governi del presidente” durante i mandati di Napolitano. Secondo la Costituzione, i governi si formano in Parlamento. Dall’introduzione del sistema elettorale Mattarellum – 1994 – le forze politiche sono solite indicare il “proprio candidato” alla presidenza del Consiglio durante la campagna elettorale. Indicazione che, secondo la Carta, non è comunque vincolante. In casi di assenza di maggioranze parlamentari numericamente riconoscibili, il Presidente della Repubblica concorre con “un ruolo signifiativo” (la definizione è del costituzionalista Stefano Ceccanti) – consultando le forze politiche – all’individuazione della personalità alla quale conferire l’incarico di formare l’esecutivo. A questi casi – dal governo Monti,a  quelli di Enrico Letta e Matteo Renzi – esecutivi supportati da maggioranze formatesi in Parlamento – diversi costituzionalisti applicano la definizione di “governo del presidente”. 

Le nuove elezioni, l’avanzata 5 Stelle, il secondo mandato    
A febbraio 2013 il Paese torna alle elezioni. Il partito di maggioranza relativa, seppur di poco, è il Movimento 5 Stelle, ma la coalizione che ottiene il premio di maggioranza alla Camera – grazie chiaramente a maggiori consensi – è “Italia bene comune”, guidata dal Pd di Pierluigi Bersani. Al Senato una maggioranza non c’è. Grillo dichiara: “Boom” e chiede al presidente della Repubblica di “dare il governo” ai 5 Stelle. Napolitano replica: “Non ho sentito nessun boom, l’unico boom che io ricordi è quello degli anni 50”. Il segretario del Pd prova ad avviare un’interlocuzione con il Movimento di Grillo, ma senza successo. Si apre, prima della questione della formazione di una maggioranza parlamentare e del nuovo governo, la partita della successione al Colle. L’assemblea dei grandi elettori del Pd propone la candidatura di Franco Marini, sulla base di un’intesa di massima con il centrodestra, ma la candidatura dell’ex presidente del Senato non decolla. Prima del quarto scrutinio, quando il quorum si abbassa – l’assemblea dei parlamentari democratici delibera per acclamazione la candidatura di Romano Prodi. La via al Colle per l’ex presidente della Commisione europea è ostruita dai 101 franchi tiratori del Pd che fanno mancare il proprio sostegno in Parlamento al Professore. Si apre una fase di stallo, mentre i 5 stelle continuano a proporre il nome dell’ex garante della Privacy Stefano Rodotà, rifiutando ogni dialogo con le altre forze politiche. Il Pd e il centrodestra iniziano un pressing molto intenso su Giorgio Napolitano, affinché accetti un secondo mandato. Il sì arriva la sera del 19 aprile. Il 20 aprile Napolitano ottiene la rielezione con  738 voti. E’ il terzo presidente più votato di sempre, dietro Sandro Pertini e Francesco Cossiga che, rispettivamente nel 1978 e nel 1985, ottennero 832 e 752 preferenze.
Napolitano tiene il discorso di insediamento nel quale precisa pubblicamente di considerare “il suo”, un mandato “a termine” e che questa eccezionalità è dettata dalla “difficile situazione del Paese”. Afferma che i suoi richiami alle riforme sono stati “vanificati dalla sordità delle forze politiche”, da “lentezza ed esitazioni sulle scelte da compiere”, da “soluzioni non soddisfacenti” e da “calcoli di convenienza”. Questo, uno dei passaggi più significativi. “Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche”.

Il governo Letta, la nomina dei saggi
Superare la crisi economica, varare le riforme istituzionali. Napolitano subordina la sua rielezione a questi obiettivi che diventano la bussola del nuovo esecutivo da formare. Un governo di larghe intese tra Pd, Pdl e Scelta Civica. Pierluigi Bersani fa un passo indietro da segretario democratico. La rosa dei papabili si restringe a due: l’ex premier Giuliano Amato e il vice segretario Pd Enrico Letta. E’ anche il fattore generazionale a “guidare” la scelta di Napolitano, che alla fine conferisce l’incarico di formare il governo ad Enrico Letta che, il 28 aprile 2013, diventa presidente del Consiglio a 46 anni. A fine maggio, il presidente della Repubblica nomina una commissione di 35 saggi per le riforme istituzionali che poi consegneranno il proprio progetto alle Camere e al governo. A fine settembre il Pdl lascia il governo Letta. Angelino Alfano ed altri esponenti fondano il Nuovo centrodestra e restano a sostegno dell’esecutivo. Il loro percorso si divide da quello di Silvio Berlusconi, che dà vita a Forza Italia.

L’ascesa di Renzi, lo “scoop” di Folli, l’ultimo discorso
L’otto dicembre 2013 Matteo Renzi – sindaco di Firenze – vince le primarie e diventa segreatrio del Partito democratico. A febbraio, la direzione del Pd chiede un nuovo esecutivo. Enrico Letta si dimette il 14 e, il 22 febbraio, Napolitano conferisce al leader democratico l’incarico di formare il governo. A 39 anni Renzi è il più giovane presidente del Consiglio della storia. Nasce il “terzo” governo del presidente, di maggioranza parlamentare e non elettorale, sostenuto da Pd, Scelta Civica e Nuovo Centrodestra. L’otto novembre il notista politico Stefano Folli scrive su “Repubblica” un editoriale dal titolo: “Perché Napolitano lascerà il Quirinale alla fine dell’anno”. Del resto, già nel suo discorso di insediamento Napolitano aveva detto che il secondo mandato era "di natura eccezionale" e "da considerarsi a termine". A dicembre, nel discorso alle Alte Cariche e negli auguri ai vertici delle Forze Armate, il presidente della Repubblica conferma che “a breve” lascerà il Colle. Il 31 dicembre tiene il “suo ultimo” discorso agli italiani e li esorta a superare la crisi, richiamando l’importanza della questione giovanile, l’essenzialità delle riforme. Queste le parole da lui più pronunciate: , “Fiducia”, “doveri”, “Nazione”. Poi, l’esortazione finale: “Mettiamocela tutta”.