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MONDO

Visita a Torino

La commozione di Papa Francesco che recita la poesia piemontese "Rassa Nostrana"

La poesia in dialetto piemontese di Nino Costa era stata insegnata al pontefice dalla sua amata nonna Rosa. Oggi Papa Bergoglio ne ha voluto recitare alcune strofe durante l'omelia

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Papa Francesco Torino ostensione Sacra Sindone (LaPresse)
Torino
Papa Francesco, in visita a Torino, si emoziona recitando una poesia nel dialetto della terra da cui proviene la sua famiglia. 'Razza nostrana' (o Rassa Nostrana) gli era stata inseganata dall'amata nonna Rosa. Così papa Bergoglio ne ha recitato una parte durante l'omelia nella Messa a Piazza Vittorio definendo l'autore Nino Costa "un famoso poeta nostro", sottolineando così le sue origini piemontesi.  

"Cari fratelli e sorelle torinesi e piemontesi - ha detto il Pontefice - i nostri antenati sapevano bene che cosa vuol dire essere 'roccia', cosa vuol dire 'solidità'. Ne dà una bella testimonianza un famoso poeta nostro", ha continuato il Papa recitando versi che erano ben conosciuti agli emigrati piemontesi, come la famiglia Bergoglio, che cercavano fortuna soprattutto nel Nuovo Mondo, a partire dall'Argentina. La poesia è  infatti dedicata "aj Piemunteis ch'a travajo fora d'Italia", ai piemontesi che lavorano all'estero.

"Dritti e sinceri, quel che sono, appaiono: teste quadre, polso fermo e fegato sano - ha recitato Papa Francesco - parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano. Gente che non risparmia tempo e sudore, razza nostrana libera e testarda. Tutto il mondo conosce chi sono e, quando passano? tutto il mondo li guarda". 

Ecco le prime strofe in piemontese e il testo integrale tradotto in italiano.

"Drit e sincer, cosa ch'a sun, a smijo:
teste quadre, puls ferm e fi'dic san
a parlo poc ma a san cosa ch'a diso
bele ch'a marcio adasi, a van luntan.
Saraje', mueradur e sternighin,
minoer e campagnin, sarun e fre':
s'a-j pias gargarise' quaic buta ed vin,
j'e' gnuen ch'a-j bagna el nas per travaje'..."

* "Diritti e sinceri, quel che sono, appaiono:
teste quadre, polso fermo e fegato sano:
parlano poco, ma sanno quel che dicono:
pur camminando adagio, vanno lontano.

* Seraie', muratori e sternighin,
minatori e contadini, saron e fabbri,
se gli piace gargarizzare qualche bottiglia di vino,
non c'e' nessuno che gli bagni il naso nel lavorare.

* Gente che non mercanteggia tempo e sudore
- razza nostrana, libera e testarda -
tutto il mondo sa chi sono
e quando passano, tutto il mondo li guarda.

* Biondi canavesani con gli occhi color del cielo,
robusti e fieri come i loro castelli.
Montanari valdaostani dai nervi d'acciaio,
maschi della Val Susa duri come martelli.

* Facce di Langa, rubiconde di allegria;
"ferlingot" disinvolti della pianura vercellese
e biellesi trafficoni pieni di energia
che per conoscerli ci voglion sette anni e un mese.

* Gente di Cuneo: paziente e un po' lenta
che ha le scarpe grosse e il cervello fino,
e gente monferrina che, parlando, canta,
che spumeggia, frizza, ribolle... come i suoi vini.

* Tutto il Piemonte che va a cercarsi il pane,
tutto il Piemonte con la sua parlata fiera,
che nelle battaglie del lavoro umano,
tiene alta la fronte... e la bandiera.

* O bionde di grano, pianure Argentine
fazende del Brasile perse nella campagna,
non sentite mai passare un'aria monferrina
o il ritornello di una canzone di montagna?

* Miniere di Francia, miniere di Alemagna,
che il fumo circonda come una frangia,
voi lo potete dire se se lo guadagna
il nostro operaio, quel pezzo di pane che mangia.

* Qualche volta ritornano, e i soldi risparmiati
gli rendono una casetta o un pezzo di terra
e allora allevano le loro figlie (...)
e i ragazzoni che hanno vinto la guerra

* Ma il piu' delle volte una stagione perduta
o una febbre o un malanno da lavoro,
li inchioda in una tomba spoglia
persa in un cimitero straniero".