MONDO
La guerra dell’acqua
La contesa per le risorse del Nilo minaccia la pace. Ma si riapre uno spiraglio per la mediazione
Egitto, Etiopia e Sudan torneranno a negoziare

Sull’acqua del Nilo si torna a trattare. Dopo aver sfiorato un nuovo conflitto, Egitto, Etiopia e Sudan riapriranno i negoziati per cercare un accordo sulla gestione della diga del Gran Rinascimento, la nuova centrale idroelettrica costruita dall’Etiopia lungo il corso del Nilo Azzurro che, secondo il Cairo e Khartoum, rischia di impoverire la portata del Nilo in maniera inaccettabile.
L’annuncio del ritorno al dialogo arriva dal Ministro degli Esteri egiziano, Shoukry, che nei giorni scorsi, dopo l’ennesimo fallimento dei colloqui, aveva formalmente posto la questione davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, prefigurando lo scenario di uno scontro definitivo.
Addis Abeba torna a sedersi al tavolo evidentemente pressata dale diplomazie internazionali che non vogliono un’altra crisi Africana, ma è chiaro che la strada resta comunque tutta in salita. Lo lascia intendere il capo dell’Ethiopian Political Parties Joint Council, Mussa Adem, che sottolinea come tutte le forze politiche del paese continueranno a sostenere compatte il progetto Gerd. Mentre il patriarca della Chiesa Ortodossa in Etiopia, Matthias, lancia un appello affinchè il governo completi la diga in accordo con gli altri paesi che vivono delle risorse del Nilo, senza interventi stranieri.
Le trattative iniziarono nove anni fa, due anni dopo l’avvio del progetto, procedendo a singhiozzo e senza risultati concreti, nonostante il tentativo di mediazione degli Stati Uniti, prima con l’amministrazione Obama e poi con Trump.
Nel frattempo, Addis Abeba, sostenendo che la Diga del Gran Rinascimento è fondamentale per rilanciare la propria economia, ha proseguito per la sua strada. Con l’avvicinarsi del completamento dell’opera, però, il livello dello scontro è cresciuto fino a raggiungere toni allarmanti. l’Egitto ha minacciato esplicitamente il conflitto: il presidente Al Sisi si è detto pronto a difendere “con ogni mezzo” l’acqua del Nilo. E il Primo Ministro sudanese Abdalla Hamdok, ha respinto due settimane fa la proposta di accordo bilaterale con cui il premier etiopico Amiy Ahmed sperava di ottenere quanto meno con il via libera di Khartoum.
Tra poco più di un mese infatti l’Etiopia intende avviare le operazioni di riempimento del bacino della Gerd, che chiude il corso del Nilo Azzurro a Beninshangul-Ghumuz. Per accendere la centrale idroelettrica, costata 5 miliardi di dollari, Addis Abeba vuole sottrarre al fiume 74 miliardi di metri cubi di acqua, poco meno degli 80 miliardi di metri cubi di cui hanno bisogno ogni anno Egitto e Sudan per sopravvivere.
Il vero nodo dello scontro non è la diga in sé, ma i tempi con cui l’Etiopia intende riempirla per la prima volta. Addis Abeba vuole farlo in 4, massimo 7 anni. L’Egitto e il Sudan si oppongono, sostenendo che in questo modo intere popolazioni patirebbero una crisi idrica insostenibile, e chiedono che l’operazione duri almeno 11 anni.
Il Cairo ha bisogno di 55 miliardi di metri cubi all’anno, che rappresentano il 90% del suo fabbisogno idrico. Senza quest’acqua le aziende agricole del delta, che valgono il 15% del Pil, andrebbero in crisi. Intere città, a partire dalla capitale con i suoi 20 milioni di abitanti, sarebbero costrette ad aprire i rubinetti solo per qualche ora al giorno.
Il Sudan, colpito da una siccità senza precedenti, già in sofferenza per l’emergenza umanitaria degli sfollati del Darfur, le alluvioni dello scorso anno, l’invasione delle locuste, è in sintonia con la posizione egiziana e difende i 24 miliardi di metri cubi di acqua che preleva annualmente dal fiume.
Il Nilo Azzurro porta l’84% dell’acqua e il 96% del limo del Nilo. Nasce in Etiopia, come altri quattro grandi corsi d’acqua che vi confluiscono: Akobo, Tekeze, Atbarah e Baro. Modificarne la portata avrebbe dunque conseguenze serie, visto il contributo modesto dell’altro affluente, il Nilo Bianco, che origina dal lago Vittoria.
E’ questa la ragione per cui da sempre le sue acque sono oggetto di contese e conflitti. Non è un caso che fu proprio l’esigenza di un accordo sull’uso del fiume a far nascere, più di seimila anni fa, il primo stato al mondo. La civiltà egizia, con le sue decine di dinastie e il suo pantheon di divinità, coincide con la storia del Nilo, che i faraoni hanno difeso attraverso i secoli. Gli ultimi scontri armati per il controllo del fiume risalgono alla fine dell’800, quando i pasha ottomani, che all’epoca dominavano l’Egitto, inviarono spedizioni in Sudan ed Etiopia.
Per capire le tensioni di oggi, bisogna guardare all’inizio del secolo scorso, al periodo coloniale, quando una serie di accordi tra le potenze che occupavano questa parte dell’africa permisero di porre fine alle contese. Il primo trattato, ai primi del 900, fu siglato da Minlik II d’Etiopia e il governo di Sua maestà Britannica in Sudan: impegnava l’Etiopia a non realizzare interventi che potessero interrompere il corso del Nilo. Re Minlik però ripudiò l’intesa, sostenendo che il testo in inglese non corrispondeva ai patti, e si arrivò a un nuovo accordo nel 1925 tra l’allora Impero Italiano d’Etiopia e la Gran Bretagna, che controllava Sudan ed Egitto. L’ultimo trattato è del 1959, tra Egitto e Sudan. In base a quegli impegni, di cui Il Cairo e Karthoum chiedono ancora oggi il rispetto, Addis Abeba sarebbe vincolata a non modificare la portata idrica del Nilo, senza avere prima ottenuto il consenso degli altri due paesi.
Ma l’Etiopia da anni contesta questi accordi, sostenendo di essere stata sempre derubata della propria sovranità sul Nilo Azzurro, su cui rivendica il diritto naturale a farne ciò di cui ha bisogno.
Un risentimento antico, che oggi avvicina pericolosamente lo spettro di una nuova guerra africana.
L’annuncio del ritorno al dialogo arriva dal Ministro degli Esteri egiziano, Shoukry, che nei giorni scorsi, dopo l’ennesimo fallimento dei colloqui, aveva formalmente posto la questione davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, prefigurando lo scenario di uno scontro definitivo.
Addis Abeba torna a sedersi al tavolo evidentemente pressata dale diplomazie internazionali che non vogliono un’altra crisi Africana, ma è chiaro che la strada resta comunque tutta in salita. Lo lascia intendere il capo dell’Ethiopian Political Parties Joint Council, Mussa Adem, che sottolinea come tutte le forze politiche del paese continueranno a sostenere compatte il progetto Gerd. Mentre il patriarca della Chiesa Ortodossa in Etiopia, Matthias, lancia un appello affinchè il governo completi la diga in accordo con gli altri paesi che vivono delle risorse del Nilo, senza interventi stranieri.
Le trattative iniziarono nove anni fa, due anni dopo l’avvio del progetto, procedendo a singhiozzo e senza risultati concreti, nonostante il tentativo di mediazione degli Stati Uniti, prima con l’amministrazione Obama e poi con Trump.
Nel frattempo, Addis Abeba, sostenendo che la Diga del Gran Rinascimento è fondamentale per rilanciare la propria economia, ha proseguito per la sua strada. Con l’avvicinarsi del completamento dell’opera, però, il livello dello scontro è cresciuto fino a raggiungere toni allarmanti. l’Egitto ha minacciato esplicitamente il conflitto: il presidente Al Sisi si è detto pronto a difendere “con ogni mezzo” l’acqua del Nilo. E il Primo Ministro sudanese Abdalla Hamdok, ha respinto due settimane fa la proposta di accordo bilaterale con cui il premier etiopico Amiy Ahmed sperava di ottenere quanto meno con il via libera di Khartoum.
Tra poco più di un mese infatti l’Etiopia intende avviare le operazioni di riempimento del bacino della Gerd, che chiude il corso del Nilo Azzurro a Beninshangul-Ghumuz. Per accendere la centrale idroelettrica, costata 5 miliardi di dollari, Addis Abeba vuole sottrarre al fiume 74 miliardi di metri cubi di acqua, poco meno degli 80 miliardi di metri cubi di cui hanno bisogno ogni anno Egitto e Sudan per sopravvivere.
Il vero nodo dello scontro non è la diga in sé, ma i tempi con cui l’Etiopia intende riempirla per la prima volta. Addis Abeba vuole farlo in 4, massimo 7 anni. L’Egitto e il Sudan si oppongono, sostenendo che in questo modo intere popolazioni patirebbero una crisi idrica insostenibile, e chiedono che l’operazione duri almeno 11 anni.
Il Cairo ha bisogno di 55 miliardi di metri cubi all’anno, che rappresentano il 90% del suo fabbisogno idrico. Senza quest’acqua le aziende agricole del delta, che valgono il 15% del Pil, andrebbero in crisi. Intere città, a partire dalla capitale con i suoi 20 milioni di abitanti, sarebbero costrette ad aprire i rubinetti solo per qualche ora al giorno.
Il Sudan, colpito da una siccità senza precedenti, già in sofferenza per l’emergenza umanitaria degli sfollati del Darfur, le alluvioni dello scorso anno, l’invasione delle locuste, è in sintonia con la posizione egiziana e difende i 24 miliardi di metri cubi di acqua che preleva annualmente dal fiume.
Il Nilo Azzurro porta l’84% dell’acqua e il 96% del limo del Nilo. Nasce in Etiopia, come altri quattro grandi corsi d’acqua che vi confluiscono: Akobo, Tekeze, Atbarah e Baro. Modificarne la portata avrebbe dunque conseguenze serie, visto il contributo modesto dell’altro affluente, il Nilo Bianco, che origina dal lago Vittoria.
E’ questa la ragione per cui da sempre le sue acque sono oggetto di contese e conflitti. Non è un caso che fu proprio l’esigenza di un accordo sull’uso del fiume a far nascere, più di seimila anni fa, il primo stato al mondo. La civiltà egizia, con le sue decine di dinastie e il suo pantheon di divinità, coincide con la storia del Nilo, che i faraoni hanno difeso attraverso i secoli. Gli ultimi scontri armati per il controllo del fiume risalgono alla fine dell’800, quando i pasha ottomani, che all’epoca dominavano l’Egitto, inviarono spedizioni in Sudan ed Etiopia.
Per capire le tensioni di oggi, bisogna guardare all’inizio del secolo scorso, al periodo coloniale, quando una serie di accordi tra le potenze che occupavano questa parte dell’africa permisero di porre fine alle contese. Il primo trattato, ai primi del 900, fu siglato da Minlik II d’Etiopia e il governo di Sua maestà Britannica in Sudan: impegnava l’Etiopia a non realizzare interventi che potessero interrompere il corso del Nilo. Re Minlik però ripudiò l’intesa, sostenendo che il testo in inglese non corrispondeva ai patti, e si arrivò a un nuovo accordo nel 1925 tra l’allora Impero Italiano d’Etiopia e la Gran Bretagna, che controllava Sudan ed Egitto. L’ultimo trattato è del 1959, tra Egitto e Sudan. In base a quegli impegni, di cui Il Cairo e Karthoum chiedono ancora oggi il rispetto, Addis Abeba sarebbe vincolata a non modificare la portata idrica del Nilo, senza avere prima ottenuto il consenso degli altri due paesi.
Ma l’Etiopia da anni contesta questi accordi, sostenendo di essere stata sempre derubata della propria sovranità sul Nilo Azzurro, su cui rivendica il diritto naturale a farne ciò di cui ha bisogno.
Un risentimento antico, che oggi avvicina pericolosamente lo spettro di una nuova guerra africana.