SALUTE
La nostra battaglia contro l'autismo

Per capire la portata del fenomeno autismo basta leggere le statistiche del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA: colpisce 1 bambino americano ogni 68 nati. Con una frequenza di 4 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Sempre secondo il CDC recenti stime indicano che 3 milioni di persone siano affette dal disturbo negli USA e circa 60 milioni nel mondo. In Italia purtroppo non esistono dati ufficiali epidemiologici e le stime di prevalenza disponibili sono basate esclusivamente su sistemi informativi sanitari o scolastici.
Da vent’anni a questa parte la componente biogenetica ha assunto un ruolo preminente nella comprensione delle possibili cause del disturbo, rispetto ad alcune correnti psicodinamiche che in passato imputavano ai genitori la responsabilità di qualunque disturbo evolutivo dei proprio figlio e in particolare del disturbo autistico. Impostazione che lasciava le famiglie con numerose domande senza risposta e soprattutto con inutili sensi di colpa che acuivano il profondo dolore già determinato dalla condizione dell’amato figlio. Per queste ragioni è importante fare il punto della situazione attuale, anche per indicare alle famiglie un percorso razionale e sensato.
L’autismo è tecnicamente un disturbo del neurosviluppo che compromette le aree sociali e della comunicazione, in presenza di una ristrettezza d’interessi con comportamenti rituali e movimenti stereotipati. Il sospetto che un bambino possa essere affetto da un disturbo autistico può avvenire già entro i primi 18-20 mesi di vita e sicuramente il ritardo nello sviluppo del linguaggio associato a qualche comportamento troppo routinario che porta il bambino a passare in solitudine la maggior parte del tempo è uno dei primi campanelli di allarme. Sospetti per una diagnosi precoce si possono tuttavia vedere in alcuni casi anche nei primi 12 mesi di vita.
Sono infatti ormai sempre più numerosi gli studi che indagano il pianto nei bambini o che si soffermano a descrivere i movimenti spontanei nei primi mesi di vita. Un network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro Autistico, il NIDA, sta studiando proprio questi indicatori precoci che possano fornire utili indicazioni per la diagnosi. Considerata la notevole plasticità cerebrale dei primi mesi di vita intervenire il più precocemente possibile può realmente cambiare la storia del singolo paziente sia in termini prognostici che in termini di qualità di vita del paziente e della famiglia. Senza addentrarsi in concetti troppo specialistici è giusto sottolineare come, negli ultimi anni, alcune terminologie che si riferiscono all’ampio mondo dell’autismo siano cambiate. Infatti, scrivere semplicemente di autismo non è molto corretto, sarebbe meglio riferirsi ai disturbi dello spettro autistico.
La differenza rispetto al passato è considerare l’autismo con un approccio di tipo dimensionale partendo dal presupposto che esiste un’importante diversità tra persone autistiche e il termine “spettro” serve proprio ad indicare la variabilità di comportamenti osservati all’interno del disturbo. Una prima variabile che caratterizza la tipologia dell’autismo e le prospettive future della persona affetta è sicuramente il livello cognitivo. I livelli della qualità di vita, delle aspettative, dei progetti che si possono fare su un persona autistica cambiano drasticamente se stiamo parlando di un autismo con un deficit intellettivo associato, cioè di autismo a basso funzionamento, o se stiamo descrivendo una persona con un funzionamento autistico e un livello di intelligenza perfettamente nella norma. Un secondo importante indice che predice il futuro funzionamento della persona autistica è l’acquisizione di un linguaggio il più evoluto possibile.
Una domanda frequente, spesso non espressa dai genitori, riguarda la causa della patologia del loro figlio. E’ inutile perdersi in mille discorsi che hanno tutti lo stesso epilogo e affermare da subito che, ad oggi, la causa dell’autismo non è conosciuta. Sono stati identificati geni codificanti per una serie di proteine probabilmente implicate nell’eziologia dell’autismo, tutte coinvolte nel neurosviluppo e molte con un ruolo nell’ambito della funzionalità sinaptica cerebrale. Negli ultimi anni gli scienziati hanno evidenziato solo un esiguo numero di mutazioni genetiche associate all’autismo che da sole sono in grado di spiegare il disturbo, mentre nella maggior parte dei casi è una combinazione di fattori genetici e ambientali che influenza una precoce alterazione dello sviluppo cerebrale che di conseguenza determina l’autismo. Ipotesi ormonali sono anche state oggetto di riflessione.
Alcuni autori sostengono che l’autismo sia un’estremizzazione del cervello maschile tipicamente meno empatico e più logico di quello del genere femminile e questo sarebbe spiegato da alti livelli di testosterone, appunto l’ormone maschile per eccellenza, già in epoca fetale. Questo dato spiegherebbe anche la maggiore prevalenza del disturbo nel sesso maschile. Poi ci sono tutta una serie di ipotesi suggestive, che provocano notevole dibattito pubblico che danno la colpa dell’autismo a vaccini, contaminanti ambientali e alimenti.
Tuttavia è importante sottolineare che attualmente non esistono evidenze scientifiche che mettano in correlazione la sintomatologia autistica con i vaccini. Anzi, tutti gli studi pubblicati sulle riviste internazionali più prestigiose confermano come tale associazione sia assolutamente casuale e non causale. Per quanto riguarda il trattamento è per prima cosa importante sottolineare che ogni persona con disturbo dello spettro autistico è unica e per tanto il piano di trattamento deve essere sempre pensato in relazione ai bisogni individuali specifici e della sua famiglia. Tuttavia è stato dimostrato da studi scientifici che interventi comportamentali precoci che coinvolgono l’intera famiglia a fianco di un team di professionisti sono quelli che al momento riportano la maggiore efficacia.
In Italia nell’ottobre del 2011 è stata pubblicata, come parte dell’attività del Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG), La Linea guida 21 che riguarda “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” e che fornisce indicazioni utili circa l’efficacia di diversi approcci proposti per la cura dell’autismo. Al momento i metodi comportamentali più utilizzati sono l’Early Intensive Behavioral Intervention basato sull’analisi comportamentale applicata (conosciuta come ABA acronimo inglese dell’Applied Behavior Analysis) e l’Early Start Denver Model. Diagnosi e trattamento tuttavia sono solo due parziali aspetti del problema, poi c’è appunto la quotidianità, la vita di tutti i giorni che va affrontata: dalla selettività alimentare che spesso determina senso di colpa e impotenza nei genitori, ai disturbi del sonno con alcuni bambini e ragazzi che si svegliano in piena notte facendo sobbalzare dal letto intere famiglie, alla gestione di momenti di aggressività e agitazione psicomotoria, fino ad arrivare a problematiche mediche più importanti come la gestione delle crisi epilettiche.
Tanto è stato fatto, tantissimo c’è ancora da fare per consolidare un cambiamento culturale che si sta affrontando nell’approccio all’autismo in questi ultimi anni. Le priorità sono numerose, tuttavia al momento ne individuo due in particolare: per prima cosa mi preme sottolineare l’importanza del riconoscimento e presa in carico precoce del paziente che possono cambiare in maniera sostanziale le prospettive e la qualità di vita della persona con autismo e in secondo luogo la necessità di iniziare a pensare concretamente, anche a livello istituzionale, alle persone adulte con autismo e al “dopo di noi” di numerose famiglie angosciate dal pensiero di cosa sarà del proprio amato figlio quando i genitori non ci saranno più.
Luigi Mazzone
Neuropsichiatra Infantile Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Da vent’anni a questa parte la componente biogenetica ha assunto un ruolo preminente nella comprensione delle possibili cause del disturbo, rispetto ad alcune correnti psicodinamiche che in passato imputavano ai genitori la responsabilità di qualunque disturbo evolutivo dei proprio figlio e in particolare del disturbo autistico. Impostazione che lasciava le famiglie con numerose domande senza risposta e soprattutto con inutili sensi di colpa che acuivano il profondo dolore già determinato dalla condizione dell’amato figlio. Per queste ragioni è importante fare il punto della situazione attuale, anche per indicare alle famiglie un percorso razionale e sensato.
L’autismo è tecnicamente un disturbo del neurosviluppo che compromette le aree sociali e della comunicazione, in presenza di una ristrettezza d’interessi con comportamenti rituali e movimenti stereotipati. Il sospetto che un bambino possa essere affetto da un disturbo autistico può avvenire già entro i primi 18-20 mesi di vita e sicuramente il ritardo nello sviluppo del linguaggio associato a qualche comportamento troppo routinario che porta il bambino a passare in solitudine la maggior parte del tempo è uno dei primi campanelli di allarme. Sospetti per una diagnosi precoce si possono tuttavia vedere in alcuni casi anche nei primi 12 mesi di vita.
Sono infatti ormai sempre più numerosi gli studi che indagano il pianto nei bambini o che si soffermano a descrivere i movimenti spontanei nei primi mesi di vita. Un network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro Autistico, il NIDA, sta studiando proprio questi indicatori precoci che possano fornire utili indicazioni per la diagnosi. Considerata la notevole plasticità cerebrale dei primi mesi di vita intervenire il più precocemente possibile può realmente cambiare la storia del singolo paziente sia in termini prognostici che in termini di qualità di vita del paziente e della famiglia. Senza addentrarsi in concetti troppo specialistici è giusto sottolineare come, negli ultimi anni, alcune terminologie che si riferiscono all’ampio mondo dell’autismo siano cambiate. Infatti, scrivere semplicemente di autismo non è molto corretto, sarebbe meglio riferirsi ai disturbi dello spettro autistico.
La differenza rispetto al passato è considerare l’autismo con un approccio di tipo dimensionale partendo dal presupposto che esiste un’importante diversità tra persone autistiche e il termine “spettro” serve proprio ad indicare la variabilità di comportamenti osservati all’interno del disturbo. Una prima variabile che caratterizza la tipologia dell’autismo e le prospettive future della persona affetta è sicuramente il livello cognitivo. I livelli della qualità di vita, delle aspettative, dei progetti che si possono fare su un persona autistica cambiano drasticamente se stiamo parlando di un autismo con un deficit intellettivo associato, cioè di autismo a basso funzionamento, o se stiamo descrivendo una persona con un funzionamento autistico e un livello di intelligenza perfettamente nella norma. Un secondo importante indice che predice il futuro funzionamento della persona autistica è l’acquisizione di un linguaggio il più evoluto possibile.
Una domanda frequente, spesso non espressa dai genitori, riguarda la causa della patologia del loro figlio. E’ inutile perdersi in mille discorsi che hanno tutti lo stesso epilogo e affermare da subito che, ad oggi, la causa dell’autismo non è conosciuta. Sono stati identificati geni codificanti per una serie di proteine probabilmente implicate nell’eziologia dell’autismo, tutte coinvolte nel neurosviluppo e molte con un ruolo nell’ambito della funzionalità sinaptica cerebrale. Negli ultimi anni gli scienziati hanno evidenziato solo un esiguo numero di mutazioni genetiche associate all’autismo che da sole sono in grado di spiegare il disturbo, mentre nella maggior parte dei casi è una combinazione di fattori genetici e ambientali che influenza una precoce alterazione dello sviluppo cerebrale che di conseguenza determina l’autismo. Ipotesi ormonali sono anche state oggetto di riflessione.
Alcuni autori sostengono che l’autismo sia un’estremizzazione del cervello maschile tipicamente meno empatico e più logico di quello del genere femminile e questo sarebbe spiegato da alti livelli di testosterone, appunto l’ormone maschile per eccellenza, già in epoca fetale. Questo dato spiegherebbe anche la maggiore prevalenza del disturbo nel sesso maschile. Poi ci sono tutta una serie di ipotesi suggestive, che provocano notevole dibattito pubblico che danno la colpa dell’autismo a vaccini, contaminanti ambientali e alimenti.
Tuttavia è importante sottolineare che attualmente non esistono evidenze scientifiche che mettano in correlazione la sintomatologia autistica con i vaccini. Anzi, tutti gli studi pubblicati sulle riviste internazionali più prestigiose confermano come tale associazione sia assolutamente casuale e non causale. Per quanto riguarda il trattamento è per prima cosa importante sottolineare che ogni persona con disturbo dello spettro autistico è unica e per tanto il piano di trattamento deve essere sempre pensato in relazione ai bisogni individuali specifici e della sua famiglia. Tuttavia è stato dimostrato da studi scientifici che interventi comportamentali precoci che coinvolgono l’intera famiglia a fianco di un team di professionisti sono quelli che al momento riportano la maggiore efficacia.
In Italia nell’ottobre del 2011 è stata pubblicata, come parte dell’attività del Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG), La Linea guida 21 che riguarda “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” e che fornisce indicazioni utili circa l’efficacia di diversi approcci proposti per la cura dell’autismo. Al momento i metodi comportamentali più utilizzati sono l’Early Intensive Behavioral Intervention basato sull’analisi comportamentale applicata (conosciuta come ABA acronimo inglese dell’Applied Behavior Analysis) e l’Early Start Denver Model. Diagnosi e trattamento tuttavia sono solo due parziali aspetti del problema, poi c’è appunto la quotidianità, la vita di tutti i giorni che va affrontata: dalla selettività alimentare che spesso determina senso di colpa e impotenza nei genitori, ai disturbi del sonno con alcuni bambini e ragazzi che si svegliano in piena notte facendo sobbalzare dal letto intere famiglie, alla gestione di momenti di aggressività e agitazione psicomotoria, fino ad arrivare a problematiche mediche più importanti come la gestione delle crisi epilettiche.
Tanto è stato fatto, tantissimo c’è ancora da fare per consolidare un cambiamento culturale che si sta affrontando nell’approccio all’autismo in questi ultimi anni. Le priorità sono numerose, tuttavia al momento ne individuo due in particolare: per prima cosa mi preme sottolineare l’importanza del riconoscimento e presa in carico precoce del paziente che possono cambiare in maniera sostanziale le prospettive e la qualità di vita della persona con autismo e in secondo luogo la necessità di iniziare a pensare concretamente, anche a livello istituzionale, alle persone adulte con autismo e al “dopo di noi” di numerose famiglie angosciate dal pensiero di cosa sarà del proprio amato figlio quando i genitori non ci saranno più.
Luigi Mazzone
Neuropsichiatra Infantile Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma