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SALUTE

Disabili gravi

La sofferenza dei malati, i drammi delle famiglie

Pensioni tra le più basse d’Europa, mancanza di servizi sociali ed assistenziali, spese altissime per farmaci e badanti. La vita, in Italia, di 3 milioni di disabili gravi. Colloquio con Vincenzo Falabella, presidente del FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

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Vincenzo Falabella, presidente del FISH
Presidente l’Istat sostiene che in Italia ci siano più di 3 milioni di persone con disabilità grave, senza contare quindi gli anziani e i malati cronici: come vivono queste persone, nel nostro paese?

Purtroppo la quasi totalità del carico assistenziale di queste persone grava sulle loro famiglie. Infatti – e questo è un altro dato – la percentuale di presa in carico da parte dei servizi è sorprendentemente bassa e con disparità territoriali ancora notevoli. Troppo di frequente queste persone vivono situazioni di confinamento ed esclusione che noi intendiamo contrastare promuovendo politiche e servizi inclusivi, percorsi di vita indipendente, supporti alla domiciliarità, alla genitorialità, alla realizzazione di progetti di vita basati sulle aspettative e peculiarità di ognuno.

La spesa media pro capite per la disabilità è di più di 1200 in Danimarca, 740 euro in Germania, quasi 600 in Francia: da noi scendiamo a 430 euro. Cosa comprende questa cifra?​

In quella cifra c’è un po’ di tutto: dai trasferimenti monetari (pensioni di invalidità) ai servizi. Non è solo una differenza quantitativa quella fra l’Italia e gli altri Paesi ma anche di qualità. Nella nostra spesa – già molto bassa – prevalgono i trasferimenti monetari rispetto al mantenimento di servizi mirati, siano essi diretti o indiretti.

Prima ancora mancano politiche complessive che vadano oltre il mero assistenzialismo, peraltro sempre più compresso, per giungere alla vera inclusione.

l 70% delle famiglie con un disabile non usufruisce di nessun tipo di assistenza domiciliare, né privata né pubblica, sempre secondo l’ISTAT. E' un è problema di risorse che non ci sono, o di mancanza di attenzione politica ed amministrativa?

Dietro questo dato numerico ci sono genitori, fratelli, mogli, madri che rinunciano al loro lavoro, alla loro carriera lavorativa, alla loro stessa salute – con ciò che ne consegue in termini di impoverimento – per assistere un congiunto con grave disabilità.

Politiche compiute hanno necessità di risorse certe. Ma sarebbe un errore pensare che questa sia una spesa improduttiva: investire in buon welfare significa migliorare il Paese anche in termini economici e produttivi.

Malgrado esistano le quote riservate nelle assunzioni, meno del 20% delle persone con disabilità riesce a trovare un lavoro. Anche qui, è un problema di produzione o di scarsa sensibilità verso ci sia una persona con disabilità?​

I fattori congiunturali hanno gravato di più sulle categorie più esposte, fra le quali le persone con disabilità. Questo è accaduto perché il sistema non si era dotato di strumenti e meccanismi di protezione, di salvaguardia. Molti sono gli aspetti che incidono sulla bassa occupazione: i pregiudizi, la debolezza dei servizi per l’impiego, la scarsità dei controlli, la limitata valorizzazione delle buone prassi, la fragilità della mediazione azienda/lavoratore, la scarsa convinzione nelle possibilità di capacitazione del lavoratore. Ci aspettiamo che in sede di applicazione concreta dei decreti sul job acts sia possibile ripensare operativamente a tutti questi elementi.

Cosa ne pensa della legge sul "dopo di noi" all'esame del Parlamento? In cosa va migliorata?​

Speriamo che la lettura a Palazzo Madama possa limare alcuni degli elementi che ancora non convincono. Uno fra tutti: un divieto più perentorio ad ogni forma di segregazione. Ciò impone una scelta politica decisa: la deistituzionalizzazione e la progressiva chiusura di tutte quelle strutture che ad oggi sono di fatto segreganti.

Va anche detto che il tema del “dopo di noi” è un’emergenza. Oltre a intervenire sull’urgenza, è necessario adottare scelte precise che favoriscano il permanere al proprio domicilio, la costruzione e il rafforzamento dell’autonomia personale, il supporto (oggi, non domani) alla famiglia, alla genitorialità ma anche alla realizzazione di percorsi di vita indipendente.