Lo stato dell'arte delle cure
Telethon, Aiuti: sconfitte tre malattie, ora avanti con le altre
Un lavoro durissimo e lungo, ma i risultati sono arrivati per tre patologie da sempre considerate incurabili. La speranza c'è, anche per le altre: occorre impegno e c'è bisogno di risorse. Colloquio con Alessandro Aiuti, professore associato di Pediatria all’Università Vita e Salute - San Raffaele di Milano e coordinatore dell’area clinica dell’Istituto San Raffaele Telethon di Milano

Professore ogni minuto nasce nel mondo un bambino affetto da una delle seimila ed oltre malattie genetiche conosciute. Tanti anni di ricerca solo per identificarle, per dare un nome e scoprire i meccanismi di queste patologie, ma per la maggior parte la cura è lontana. Vorrei iniziare chiedendo all'uomo, prima che allo scienziato, quale sia lo stato d’animo.
Spesso vediamo piccoli pazienti affetti da una grave malattia genetica per cui non è disponibile una cura efficace. Comunicare queste informazioni alle famiglie e trovarsi di fronte al dolore e alla frustrazione è sempre difficile anche per un medico con anni di esperienza. Spesso ci chiedono perché siete riusciti a curare l’altra malattia e non la mia. Le ragioni sono molteplici ma non sono sempre sono accettate. Sono proprio questi i casi che ci danno ancora più motivazione ad andare avanti nelle ricerche per poter offrire un giorno una cura per un numero sempre più ampio di malattie genetiche.
Per alcune patologie gravissime considerate incurabili una cura invece ora c'è, grazie alle vostre ricerche. Penso alla ADA-SCID, alla leucodistrofia metacromatica, alla sindrome di Wiskott-Aldrich: quale meccanismo utilizzate per riparare o sostituire i geni compromessi, a quale stadio della malattia è possibile intervenire, per avere dei risultati
La strada che si è rivelata vincente è quella di correggere il difetto genetico nelle cellule staminali ematopoietiche dello stesso paziente, inserendo una copia sana del gene malato attraverso un vettore virale. Le cellule vengono prelevate dal midollo osseo o dal sangue periferico dopo un trattamento che induce le cellule staminali ad uscire dal midollo. Le cellule così’ riparate sono poi reinfuse nel paziente, ritornano nel midollo e cominciano a produrre cellule sane. Nell’ADA-SCID e nella Sindorme di Wiskott Aldrich siamo intervenuti quando la malattia è già manifesta, mentre nella leucodistrofia metacromatica solo nei casi presintomatici o in alcune forme più tardive all’esordio della malattia.
I problemi "tecnici" con cui si confronta la terapia genica sono essenzialmente il vettore per trasportare geni modificati nel DNA, il fatto che non sempre le proteine prodotte sono quelle sperate, e che il risultato non si mantiene nel tempo. In che modo ci state lavorando, quali strade intravede nel futuro?
Ogni malattia ha il suo gene ed il suo vettore specifico, ma la piattaforma tecnologica con i vettori virali è la stessa e consente di correggere il difetto nelle cellule staminali ematopoietiche in maniera molto efficace. I risultati ottenuti nelle sperimentazioni cliniche condotte al TIGET (Istituto San Raffaele Telethon per la terapia Genica) indicano che la terapia genica è efficace, gli effetti persistono nel tempo per molti anni ed ha un buon profilo di sicurezza. Visti i risultati, in futuro i tempi per applicarla ad altre malattie del sangue o d’accumulo potranno accorciarsi.
Quali limiti pone alle vostre ricerche il divieto, in Europa, di manipolare cellule embrionali, e cosa pensa dell'editing genetico che sta prendendo sempre più piede nei laboratori di Paesi che non si sottopongono alle regole etiche occidentali?
Le nuove tecnologie dell’editing sono molto promettenti sulle cellule somatiche anche se ancora l’applicazione clinica ad oggi sarebbe limitata ai casi in cui non sono necessari alti livelli di correzione e la sicurezza dovrà essere valutata a pieno nelle sperimentazioni cliniche. Al di là delle considerazioni etiche ritengo del tutto prematuro pensare di applicare questa tecnologia alla correzione di difetti genetici a livello embrionale.