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ITALIA

Il killer di Simonetta aveva un complice

Lavorino: "Via Poma? L’assassino è stato fortunato"

Secondo il criminologo Carmelo Lavorino, quello di Simonetta Cesaroni è stato un delitto "fortunato" dovuto alle inadeguatezze degli investigatori: "Se l’avesse commesso in questi giorni, con le tracce telefoniche e l’attuale metodica di analisi della scena del crimine non avrebbe avuto scampo"

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Carmelo Lavorino
di Roberta RizzoRoma
Dopo 24 anni il killer di Simonetta Cesaroni resta senza volto e senza nome. La corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione per l’ex fidanzato, Raniero Busco. “Non fu lui a sferrare quelle 29 coltellate, non c'entra nulla con quell’efferato assassino” spiega a Rainews.it il criminologo Carmelo Lavorino che fu consulente per Federico Valle, accusato anch’egli dell’omicidio ed ha collaborato alla difesa di Busco.
Dottor Lavorino si aspettava l’assoluzione?
Era da prevedere ma io lo dicevo dal principio. Quello di Busco è tempo perso. L’impianto accusatorio è basato sul nulla. Non aveva il movente, né le opportunità, né le capacità. Si è trattato dell'ultimo svarione congetturale-investigativo-logico dell'inchiesta. Una serie di strafalcioni iniziati con il non avere preso le temperature cadaveriche ed ambientali e proseguita con il non accorgersi che l'assassino ha colpito diverse volte la vittima con la mano sinistra: lo stesso colpo iniziale è stato uno schiaffo circolare alla tempia destra di Simonetta che deve essere stato sferrato per forza da un mancino. Mentre Busco mancino non è…
L’ex fidanzato è stato sospettato perché sembrava compatibile con il morso sul seno trovato sul corpo di Simonetta…
Peccato che il presupposto non era certo: non si sa se effettivamente si è trattato di un morso. Inoltre c’è stato un grosso errore da parte degli inquirenti che non hanno fatto analizzare l’eventuale presenza di saliva per poter risalire al DNA dell’assassino. Altro errore smisurato è stato quello di non prendere la temperatura del cadavere nè quella ambientale che, associata al contenuto dello stomaco di Simonetta, ci avrebbe fatto risalire all’ora esatta del delitto.
Come mai sono stati fatti tutti questi errori?
Nel 1990 non esisteva la scientifica come la conosciamo oggi. Questo delitto è stato uno spartiacque per la criminologia e l’investigazione: da quel momento la scena del delitto è diventata sacra, intoccabile. Anche se poi gli errori si fanno comunque, basti pensare a casi come quello di Garlasco o di Meredith Kercher dove le prove sono state inquinate.
Vuol dire che oggi, con le possibilità che ha la scienza, l’assassino di via Poma avrebbe un nome? Certamente sì. Si è trattato di un delitto fortunato dovuto principalmente alle inadeguatezze degli investigatori e anche alla fortuna stessa dell’assassino. Se l’avesse commesso in questi giorni, con le tracce telefoniche e l’attuale metodica di analisi della scena del crimine, l'assassino non avrebbe avuto scampo. 
Ma allora chi ha ucciso Simonetta?
Di certo era un soggetto mancino, un territoriale, da ricercare fra il portierato e l'ufficio dove lavorava Simonetta come segretaria, (l'Associazione Alberghi della gioventù ndr). Lei lo conosceva. Lui ha ucciso colto da un impeto di rabbia distruttiva. Cominciato con lo schiaffo e culminato con le 29 coltellate che hanno colpito, in maniera istintiva quattro zone simboliche del corpo della vittima: il petto che corrisponde alla vita; gli occhi e il volto, per profanare la bellezza femminile; il ventre e l’inguine che punisce la maternità e la sessualità della giovane... Non si è trattato di un delitto premeditato ma scattato da un impulso dovuto probabilmente a un rifiuto di tipo sessuale. Lo dimostra l’arma del delitto, un tagliacarte.
Quindi il killer potrebbe essere tra le persone che furono interrogate?
Sono certo di sì. Il killer sicuramente è stato interrogato dagli inquirenti subito dopo il ritrovamento del corpo di Simonetta. Ma gli investigatori erano troppo concentrati ad avvalorare le proprie ipotesi accusatorie e a non ammettere, in seguito, gli errori fatti.
Qual è stato uno degli errori principali secondo lei?
Il sangue ritrovato sul telefono. Nel 1993 scrissi che apparteneva all'assassino. Era del gruppo A dqalfa4/4, mentre il pubblico ministero dell'epoca si sbagliò e lo confuse con quello di Simonetta Cesaroni che era sì dqalfa4/4 ma del gruppo 0. Errore abominevole. La sentenza della Corte d'Appello mi ha dato ragione, la Cassazione non ha smentito il mio enunciato.
L’arma del delitto resta una prova fondamentale per risalire al vero assassino…
Simonetta è stata uccisa prima delle 16,50 e non dopo le 18,30. L'arma del delitto è quel tagliacarte che alle ore 15 non era sulla scrivania di una dipendente dell'ufficio (Maria Luisa Sibilia) e che dopo l'omicidio “qualcuno” ha provveduto a lavare per poi lasciarlo nella stanza della dipendente. Il tagliacarte era stato cercato dalla signora  Sibilia alle ore 11 e non era sulla sua scrivania, tanto che ne ha usato un altro per aprire le buste della corrispondenza: chi quel 7 agosto 1990 – dopo l’uccisione di Simonetta – sapeva che il “tagliacarte-arma del delitto” era di  Maria Luisa Sibilia, ma ignorava che la stessa lo avesse cercato inutilmente, è l’assassino di Simonetta.
Rimane ancora in piedi l’ipotesi di un complice…
Dopo averla massacrata di coltellate qualcuno ha cancellato le tracce e messo a posto la scena del crimine. Simonetta è stata ritrovata nuda lasciata in una posizione offensiva, sguaiata: un segno di disprezzo tipico del rifiutato, il soggetto che ha commesso l’omicidio. Ma il corpo aveva gli occhi chiusi e il corpetto di pizzo era stato poggiato e disposto sul ventre: un atto di pietas, di negazione psichica, di accomodamento. Non può averlo fatto l’assassino, ma qualcun altro, qualcuno che lui chiamò forse con quel telefono e a cui chiese aiuto..