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MONDO

La Francia minaccia: "Atteggiamento turco inaccettabile"

Tripoli: "Disponibili a iniziative per porre fine alla guerra"

“Il Governo di Accordo Nazionale è pronto ad accogliere iniziative per porre fine alla guerra”

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Fathi Bashaga (foto Ansa)
di Leonardo Sgura
Il tweet è del ministro dell’Interno, Fathi Bashaga. Ma deve essere un percorso di pace, spiega Bashaga, che dia al paese un assetto politico rispettoso della volontà popolare, con Tripoli come capitale.

E’ un segnale che arriva dopo sette giorni di dure dichiarazioni con cui l’intero governo di Tripoli, insieme all’alleata Turchia, ha respinto la proposta di tregua lanciata dall’Egitto, dicendosi pronto a riconquistare il paese e annientare il nemico Khalifa Haftar.

Parole pubblicate nel giorno in cui Papa Francesco grida il suo “dolore” per la guerra in Libia e prega perché “gli Organismi internazionali e quanti hanno responsabilità politiche e militari” lavorino per dare pace, stabilità e unità del Paese.

Oggi è stato annullato il vertice, previsto a Istanbul, tra i ministri degli Esteri e della Difesa di Russia e Turchia. Confronto intorno a cui erano concentrate le attenzioni delle diplomazie internazionali, che considerano decisivo in questa fase l’atteggiamento di Mosca e Ankara. I due paesi sono infatti alleati altrove, ma nemici in Libia: Erdogan, con l’aiuto del Qatar, ha inviato truppe in difesa di Fayez Al Serraji, Putin, insieme a Egitto ed Emirati Arabi, offre un sostegno meno formale, ma non meno concreto, alla Cirenaica. Ma Russia e Turchia non vogliono combattersi. Già a gennaio proprio da Mosca era arrivato l’impulso, assecondato da Ankara, per il primo accordo sul cessate il fuoco. Serraji e Haftar accettarono e poche settimane dopo parteciparono alla Conferenza di Berlino, avviando poi le trattative di pace con la mediazione Onu, a Ginevra.

Tutto saltato, a febbraio, per le profonde divisioni sul controllo del territorio, delle forze armate e delle risorse petrolifere durante la transizione che, secondo i piani, dovrebbe portare in futuro a libere elezioni e istituzioni democratiche. Da allora, si è continuato a combattere, con i terminali petroliferi di Sirte finiti in mano ad Haftar e la produzione di greggio paralizzata dalle tribù fedeli al generale della Cirenaica.
 
Ma la potenza militare schierata da Ankara, accompagnata dalla improvvisa ritirata dell’Lna, ha permesso a Tripoli di passare alla controffensiva e riconquistare, tra aprile e maggio, parte dei territori perduti. Tuttavia, proprio mentre i nuovi equilibri bellici suggerirebbero di fermare le armi e favorire il dialogo, Erdogan sembra voler andare fino in fondo e radicarsi in Libia, ignorando la soluzione arrivata dall’Egitto, che ricalcando gli accordi di Schirat del 2015 propone: immediato cessate il fuoco, ritiro di tutte le forze straniere, libere elezioni e nuove istituzioni democratiche per una Libia unica, ma amministrativamente suddivisa in Fezzan, Tripolitania e Cirenaica.

La dichiarazione del Cairo, spinta dal presidente Al Sisi e accettata da Haftar, ha ricevuto subito i consensi di Stati Uniti, Russia, Grecia, Italia, Francia, Giordania, Emirati Arabi. Respinta, invece, da Tripoli e Ankara. E dopo il no alla tregua, la Turchia sarebbe addirittura intenzionata realizzare in Libia due basi militari, una aerea a Al Watiya, l’altra navale a Misurata. Sfidando quindi apertamente l’embargo Onu sulle armi. Ankara ha inviato sette navi militari al largo delle coste libiche per proteggere i suoi cargo che scaricano mezzi e uomini sulle banchine di Misurata, praticamente sotto gli occhi impotenti delle unità navali europee della missione Irini, decisa da Bruxelles proprio per garantire il rispetto dell’embargo.

La Francia oggi ha minacciato di intervenire. L’Eliseo ha posto la questione ai partner dell’Alleanza Atlantica: “Non lasceremo correre. La politica sempre più aggressiva e assertiva della Turchia è inaccettabile, stanno strumentalizzando la Nato".

Nelle ultime 48 ore, le notizie dei combattimenti armati hanno ceduto il passo alle reciproche accuse di crimini di guerra. Tripoli continua a denunciare le fosse comuni scoperte a Tarhouna, in cui – secondo il Gna – sarebbero stati sepolti vivi anche donne e bambini. Oggi sui social fonti non ufficiali hanno diffuso un video in cui vengono documentati i maltrattamenti contro un gruppo di lavoratori egiziani arrestati dai miliziani del Gna con l’accusa di essere in realtà mercenari al servizio di Khalifa Haftar.