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MONDO

L'analisi

Libia, braccio di ferro tra Egitto e Turchia

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di Leonardo Sgura
“Una dichiarazione di guerra”, così Tripoli defnisce la minaccia egiziana di intervenire con il proprio esercito in Libia.

“Rigettiamo con forza l'annuncio di Al Sisi – si legge sulla pagina ufficiale facebook del Governo di Accordo Nazionale libico, riconosciuto dalla comunità internazionale - e lo consideriamo un prolungamento della guerra contro il popolo libico, un intervento nei suoi affari interni, una minaccia grave per la sicurezza libica e dell'Africa del Nord''. ''La Libia è un Paese sovrano, nessuna parte straniera avrà alcuna autorità sul nostro popolo e sulle nostre risorse" - si legge ancora – “che difende il diritto del suo governo di instaurare la sovranità dello Stato su tutto il territorio”.

Di tenore opposto la posizione del presidente del parlamento di Tobruk (Hor), Aguila Saleh, che in una nota apprezza la risposta egiziana alla richiesta di aiuto che Tobruk aveva lanciato al parlamento del Cairo “contro l'invasione straniera". Saleh chiede alla comunità internazionale e alla Missione delle Nazioni Unite in Libia per attivare le conclusioni della conferenza di Berlino. Bisogna tagliare la strada all'avidità straniera – dice Saleh – che mira a saccheggiare la nostra ricchezza". In un distinto comunicato una quarantina di deputati dello Hor ha però espresso ostilità all’ipotesi di un intervento armato egiziano.
 
Ieri il presidente Abdel Fattah Al Sisi, parlando nella base militare di Sidi Barrani, a 95 km dal confine libico, ha detto al suo esercito di prepararsi a qualsiasi missione se le forze del Governo di Accordo Nazionale varcheranno quella che definito “la linea rossa che collega Al Jufra a Sirte”. L’Egitto interverrà al fianco delle tribù locali”, ha spiegato Al Sisi, “per garantire sicurezza e stabilità del paese”. Oggi il Ministro degli esteri egiziano ha gettato acqua sul fuoco e chiarisce il senso delle dichiarazioni di Al Sisi: “Un intervento militare in Libia sarebbe solo l'ultima opzione, anche se consideriamo la presenza di militari turchi nel paese una minaccia alla nostra sicurezza", dice Shoukry, e conclude: “vogliamo una soluzione politica e che si permetta al popolo libico di andare prima o poi ad elezioni”. Shoukry ha sentito oggi il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, il quale ha sottolineato che per Mosca, alleata di Haftar insieme al Cairo e agli Emirati Arabi, “Non esiste una soluzione militare al conflitto”.
 
L’avvertimento del Cairo, è dunque esplicitamente diretto all’avversario turco, vero regista delle operazioni belliche di Tripoli. Infatti è arrivato subito dopo che Ankara, attraverso il portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalim, ieri ha subordinato il cessate il fuoco al ritiro di Haftar proprio da Sirte e Al Jufra, centri strategici su cui si è arenata la controffensiva del Gna.
Esattamente la “linea rossa” oltre la quale il Cairo, da sempre sostenitore di Haftar, si sente autorizzato a intervenire, per impedire ai miliziani turchi, che ritiene jihadisti e terroristi, di avvicinarsi al confine libico-egiziano. “Non abbiamo mire espansionistiche – ha precisato Al Sisi – avanzeremo solo accanto al popolo libico e subito dopo lasceremo la missione”. Abbiamo la forza armata più forte della regione, ha voluto ricordare Al Sisi. L’esercito egiziano è il dodicesimo al mondo: dispone di armamenti moderni e conta quasi un milione di effettivi.
 
In pratica, questo è il messaggio del Cairo, la pace va trattata sulle posizioni che i due avversari controllano in questo momento. E se ne capisce il motivo, visto che Sirte è snodo cruciale per l’industria petrolifera del paese.
 
Ieri Tripoli aveva respinto l’invito alla riunione di emergenza convocata la prossima settimana dalla Lega Araba, da mesi duramente critica sull’ “indebito” intervento turco in Libia e in Siria. “L’ha chiesta l’Egitto – spiega il ministro degli Esteri del Gna, Mohamed Siala – e rischia solo di accentuare le spaccature”. Due settimane fa il Gna aveva anche rifiutato la dichiarazione del Cairo, accolta invece da Haftar, con cui Al Sisi proponeva il cessate il fuoco dal 6 giugno e subito trattative per realizzare gli accordi di pace raggiunti a Skhirat nel 2016, sotto egida Onu.
 
Sempre ieri, Al Serraji ha incontrato il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, che nei giorni precedenti aveva ricevuto il presidente del parlamento di Tobruk, Aquila Saleh, nel tentativo di disinnescare uno scenario che minaccia la stabilità dell’intero nord africa. L’Algeria vuole una soluzione diplomatica della crisi, ma come gli altri paesi arabi continua a dirsi contraria a “qualsiasi intervento militare straniero”.
 
La corda è tesissima anche tra Turchia e Francia. Parigi ha voluto un’inchiesta Nato per lo scontro sfiorato al largo delle coste libiche tra una propria fregata e tre unità militari turche che proteggevano un cargo sospetto. Ieri il portavoce di Erdogan ha accusato i francesi di “compromettere la sicurezza della Nato, del Mediterraneo e del nord Africa appoggiando Khalifa Haftar, illegittimo signore della guerra. Noi invece appoggiamo un governo legittimo”.