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MONDO

Libia, nuova escalation militare

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di Leonardo Sgura
Un attacco con più di 80 razzi ha distrutto un deposito di carburante e messo fuori uso due aerei civili nell’aeroporto di Mitiga. Nelle ultime quarantotto ore 15 persone sono rimaste uccise sotto i violenti bombardamenti di Haftar contro quartieri civili della capitale, inclusa l’area in cui si trova l’ambasciata italiana, sfiorata ieri da un razzo caduto a poche decine di metri.

Mentre l’attenzione del mondo è assorbita dall’emergenza sanitaria da coronavirus, il conflitto libico si inasprisce.  

L’esercito del Governo di accordo nazionale, riconosciuto dall’Onu, in queste settimane ha consolidato le difese di Tripoli e ripreso territori perduti durante il lungo assedio delle forze della Cirenaica, iniziato ormai dodici mesi fa.

Il 13 aprile il Gna ha riconquistato Sorman, Sabratha e altri centri minori a ovest della capitale, dove ora preme sulla base aerea di Watyiah, cruciale per l’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, che avrebbe perso 70 uomini per resistere all’attacco.

Le forze governative da giorni stanno bersagliando con i droni anche Trahuna, città in mano a tribù alleate della Cirenaica; operazione a cui Haftar ha risposto con la pioggia di razzi sullo scalo di Mitiga, utilizzato per i voli civili ma anche per le operazioni militari, in particolare i rifornimenti Turchi.
 
Dopo l’intervento diretto di Ankara nel conflitto, deciso a gennaio, i rapporti di forza che indicavano Haftar ad un passo dalla vittoria, sono cambiati. Erdogan infatti ha risposto alla richiesta di aiuto di Al Serraji, che ha i Fratelli Musulmani come principali alleati, inviando droni, sistemi di difesa ad alta tecnologia, mezzi blindati, personale specializzato e migliaia di miliziani già utilizzati nel conflitto lungo il confine siriano.

E’ un’alleanza che ha fortemente condizionato la conferenza di pace di Berlino, chiusa a fine gennaio senza la firma dei due avversari, e vanificato la tregua firmata pochi giorni prima a Mosca. Haftar ha infatti intensificato gli attacchi per contrastare gli aiuti di Ankara, e Tripoli, dopo essersi rafforzata, è passata alla controffensiva. Onu e Unione Europea condannano l’escalation militare e deplorano, come fanno ormai da mesi, il coinvolgimento di vittime civili nel conflitto.

In questi giorni diventa operativa la missione Irini, decisa da Bruxelles, sulla base degli accordi di Berlino, per vigilare sull’embargo contro le armi. Al comando si alterneranno Grecia e Italia, che ha la responsabilità del primo periodo con l’ammiraglio Fabio Agostini. Ma la missione, soprattutto marittima, non piace a Tripoli, che accusa l’Europa di favorire in questo modo l’esercito della Cirenaica, il quale continuerebbe a ricevere via terra e aria gli aiuti dei suoi alleati (Emirati Arabi, Egitto, Arabia Saudita), mentre per i turchi sarà complicato continuare a rifornire il Gna via mare. Malta la pensa allo stesso modo, e annuncia di sfilarsi dalla missione.

Le prossime settimane saranno dunque cruciali. Se Irini funzionerà, potrebbe incidere sul percorso di pace per cui lavorano da mesi le diplomazie internazionali.

Nel frattempo, però, la Libia resta sull’orlo dell’abisso: dal 17 gennaio sono paralizzati gli impianti petroliferi. Le tribù fedeli ad Haftar, chiedendo una equa ripartizione dei profitti, continuano a bloccare la principale risorsa economica del paese, con danni che ormai superano i 4,3 miliardi di dollari.