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MONDO

I tecnici rapiti

Libia. Calcagno: "Così Gino e io ci siamo liberati". Gentiloni: rientro delle salme forse domani

"Pensavamo di tornare tutti a casa, soprattutto Salvatore (Failla, ndr). Diceva: forza che ce la facciamo". Filippo Calcagno racconta l'incubo "atroce" vissuto insieme agli altri tre colleghi. "Cercavamo di restare lucidi, con la mente chiara. Abbiamo sofferto la fame, la sete i pugni e i colpi di fucile,  costretti a fare i bisogni dentro una cosa di plastica". Poi il racconto della fuga: "Ho aperto la porta con un chiodo" 

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"Pensavamo che saremmo tornati a casa. Soprattutto Salvatore. Aveva fiducia, 'forza che ce la facciamo', diceva". Filippo Calcagno parla con i giornalisti a Piazza Armerina. E' a casa da ieri, dopo il rapimento in Libia durato quasi otto mesi. "Il primo ricordo è per loro che non ci sono più, per Fausto Piano e Salvatore Failla. Immagino con dolore cosa stanno provando le famiglie. Noi abbiamo avuto la fortuna di ritornare, gli altri no. Spero di incontrare le famiglie. Vedremo". Salvatore Failla, "l'ho conosciuto bene in questi otto mesi, prima ci eravamo visti un paio di mesi. Con Gino Pollicardo siamo entrati quasi insieme alla Bonatti".

"Stiamo lavorando affinché le salme dei due nostri connazionali rientrino in Italia il più presto
possibile. Se possibile entro e non oltre la giornata di domani": così il ministro del Esteri, Paolo Gentiloni, ha risposto a una domanda sul rientro in patria delle salme dei due tecnici della ditta Bonatti rapiti e uccisi in Libia. 

"Cercavamo di restare lucidi. Per esercizio ci imponevamo di ricordarci le date"
Parla con la voce rotta Calcagno. Racconta l'incubo "atroce" vissuto insieme agli altri tre colleghi. "Pensavamo di essere in un incubo, ma cercavamo di restare lucidi, con la mente chiara, di non sbagliare data, era un esercizio che ci imponevamo, e ci siamo riusciti, tranne per il 29 febbraio che ci ha ingannato, tant'è che nel nostro messaggio abbiamo scritto che era il 5 marzo". "Abbiamo sofferto la fame, la sete i pugni e i colpi di fucile,  costretti a fare i bisogni dentro una cosa di plastica". Calcagno spiega che "fino al giorno 2 marzo nostro e 1 marzo vostro eravamo insieme tutti e quattro: io, Gino, Salvatore e Fausto. Poi ci hanno divisi. Ci avevano detto che 'era tutto finito', ci hanno dato delle tute poi hanno portato via Piano e Failla, mentre noi siamo rimasti dentro. Ci chiedavamo perché...".

"In mano a criminali, c'erano donne e un bimbo"
"Non so se eravamo in mano all'Isis o a delinquenti. Lo stabiliranno altri. Ma certamente eravamo tenuti da criminali. Perché solo criminali possono fare queste cose. C'erano delle donne e un bambino... una famiglia di delinquenti e di criminali".

"Ho aperto la porta con un chiodo"
"Ho lavorato molto su quella porta. Ho capito che con un chiodo si possono fare tante cose. Ho lavorato sulla serratura, o meglio sulla parte dove la serratura si va a incastrare nella porta. Era un legno duro però pian pianino, con la caparbietà, ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino, perche' mi facevano male le dita da giorni e gli ho detto: 'dai Gino vieni, se dai due colpi siamo fuori". "Il giorno prima avevamo provato e gli avevo detto 'Gino, mi dispiace, noi riusciamo a farlo'...invece poi...Quando si è aperta, l'altro dubbio era di trovare chiusa dall'esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c'era più nessuno".

"Ci siamo camuffati, poi abbiamo trovato la polizia"
"Ci siamo camuffati perche'' avevamo paura che ci fosse qualche altro gruppo fuori che ci prendesse. Siamo andati sulla strada con l'intenzione di chiedere aiuto, pero'' cercavamo la polizia perché era l'unica che potesse darci aiuto. E fortunatamente il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Abbiamo trovato i poliziotti e poi da li' e' stato tutto un crescendo. Io dopo circa un'ora sono tornato indietro con loro per riconoscere la casa".