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MONDO

VAticano

Lo Ior, tra Riforma e Corvi. Intervista a Francesco Peloso

Sono giorni difficili per il Vaticano. La nuova Vatileaks ha avuto clamorosi sviluppi, come si sa, con l’arresto dei due corvi: il Monsignor spagnolo, Vallejo Balda, e la giovane “pierre” Francesca Immacolata Chaouqui. Ritenuti responsabili, dalle autorità della Santa Sede, di diffusione di documenti riservati che rigurdano le finanze del Vaticano. Documenti che sono alla base di due libri inchiesta che usciranno questa settimana: “Via Crucis” di Maurizio Nuzzi  e “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi. Le indagini sono partite, anche, da un fatto di cronaca di cui si è avuta notizia la scorsa settimana. Ovvero della violazione del computer del “Revisore generale della Santa Sede”, Libero Milone. Milone è stato da nominato dal Papa in questo nuovo ufficio frutto della Riforma, nel segno della trasparenza, delle Finanze Vaticane. Insomma l’ennesimo episodio, dopo quelli che sono avvenuti durante il Sinodo, per mettere in difficoltà Papa Francesco. Quali saranno gli sviluppi della Riforma di Papa Francesco dopo questi avvenimenti? Ne parliamo con Francesco Peloso, giornalista d’inchiesta, collaboratore del sito, del quotidiano La Stampa, “Vatican Insider” e autore del libro, uscito per la casa editrice Marsilio, “La Banca del Papa. Le Finanze vaticane fra scandali e riforme”

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di Pierluigi Mele
Quello che è successo ieri è la conferma di quanto sia dura la resistenza di settori della Curia al cambiamento di Francesco. Insomma c’è ancora troppo marcio in Vaticano? 

Gli ultimi avvenimenti dimostrano in effetti che tipo di ostacoli si trova a dover affrontare il Papa e con lui il gruppo di cardinali e prelati che lo coadiuvano in quest’opera di riforma. Perché il fatto nuovo e forse meno visibile che sta emergendo, è anche una certa reattività – finalmente – di fronte ad elementi scandalistici di vario genere il cui fine ultimo, in definitiva, è la destabilizzazione dell’istituzione, la sua presa in ostaggio, per così dire, da parte di poteri esterni e interni al Vaticano che si sentono spodestati, messi nell’angolo. Da qui un crescendo di attacchi laterali a suon di documenti trafugati, di malattie inventate e via dicendo. È la reazione di apparati che non vogliono cambiare, che sentono venir meno i propri privilegi, i rapporti di potere su cui potevano contare.  

Il tuo libro ripercorre le tappe (tra il 2009 e il 2015), a volte drammatiche, che hanno portato la Santa Sede, con Papa Francesco, ad intraprendere il cammino verso la trasparenza. Un arco di tempo breve, ma intenso, segnato come si sa dalle dimissioni di Papa Ratzinger. Quanto hanno pesato gli scandali finanziari, oltre ad altri scandali, nella decisione di lasciare il “Ministero Petrino”?

Ha pesato in generale la difficoltà di garantire una ‘governance’ adeguata alla Chiesa universale. Benedetto XVI ha lasciato il papato per una serie di concause, fra queste anche il mancato completamento della riforma delle finanze della Santa Sede che pure aveva avviato. Una mancata riforma che certamente aveva un costo economico e soprattutto politico, di perdita di potere, per la Chiesa. La rinuncia di Ratzinger è stata quindi certamente libera, come lui stesso ha detto, e in buona sostanza ha significato la presa d’atto dell’impossibilità di cambiare le cose senza mettere in discussione tutto l’establishment e tutto ‘l’edificio’ piramidale sul quale si reggeva il Vaticano. Ora è evidente che la riforma delle finanze non è solo un atto formale, un adeguamento ai tempi, ma costituisce in sé un elemento di rottura straordinario di equilibri interni. In questo senso gli scandali sono stati il sintomo visibile di una malattia profonda, di un legame ormai inestricabile e non del tutto confessabile con i poteri politici economici, non sempre trasparenti, italiani in particolare ma non solo, che alla fine, anche a causa di faide interne, avevano fatto crollare la credibilità della Chiesa universale. Per questo Benedetto XVI, che pure è stato un papa conservatore, che si era circondato di collaboratori non all’altezza, ma certamente è stato pure un pontefice colto, una personalità complessa, alla fine ha compiuto con le dimissioni – con un’ammissione di debolezza dunque, che porta con sé un elemento di umanità, di smascheramento del potere – un fortissimo atto politico, un atto traumatico di riforma tale da aprire le porte alla novità successiva. 

Tra i protagonisti della passata gestione, non certo in positivo, c’è quello dell’ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone.  È così? Perché Benedetto si è ostinato a difenderlo?

Credo che certi legami vadano oltre il dato puramente politico; Bertone è stato il vice di Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede e certamente ha aiutato il futuro papa a gestire situazioni spesso delicate, difficili. Ha difeso sempre l’operato prima del cardinal Ratzinger e poi di Benedetto XVI, c’era un forte legame personale tra i due; certo va detto che il papa non ascoltò i consigli di cardinali di cui pure si fidava che lo invitavano a sostituire il suo Segretario di Stato giudicandolo inadeguato.

Veniamo alle Riforme di questi anni. Cosa hanno riguardato e quali sono stati, oltre al Papa, i protagonisti del nuovo corso?  Quali “poteri forti” sono stati coinvolti? 

Il discorso sulle riforme sarebbe lungo e per altro non siamo di fronte a un percorso concluso. Direi che tutta la sfera della finanza vaticana abituata a vivere nell’ombra ha conosciuto in pochi anni un processo di avvicinamento a criteri di trasparenza – certificati da organismi internazionali – che da solo costituisce un cambio d’epoca, una trasformazione dell’istituzione. La fine della corte pontificia non sarebbe tale senza tale aspetto, coincide con la fine della ‘segretezza’, e quindi degli apparati che la garantivano e ne facevano un mito; è questo il dato culturale prima ancora che istituzionale su cui riflettere. Dopo di che il cammino è tutt’altro che compiuto, ci sono non solo resistenze ma interi capitoli che devono essere ancora affrontati, si pensi per esempio al patrimonio immobiliare o alle diramazioni ecclesiali in campo sanitario. 

Qual è stato il ruolo delle autorità italiane?

Direi molto ambivalente. C’è stata moltissima connivenza per molto tempo;  come è stato detto la guerra fredda, il nemico ad oriente, giustificava un po’ tutto, anche le irregolarità, i rapporti obiettivamente opachi con politici, alti funzionari e faccendieri – sono le cronache dei decenni alle nostre spalle; sono stati gli anni in cui per esempio lo ior poteva essere utilizzato come ‘lavanderia’, deposito riservato di capitali, paradiso fiscale. Poi nel corso degli ultimi sei-sette anni, qualcosa è cambiato, la Banca d’Italia ha posto per così dire ‘sotto assedio’ le istituzioni finanziarie vaticane e lo ha fatto in accordo con l’Unione Europa, ha applicato per la prima volta la normativa antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento al terrorismo anche alla ‘banca del papa’. I tempi erano cambiati, le esigenze di trasparenza diventavano prioritarie, la lotta al riciclaggio coincideva con quella al grande crimine organizzato, al terrorismo, o agli Stati che offrivano protezione a questi fenomeni. 

C’è da focalizzare un punto sul nuovo corso. Ovvero riguarda il rapporto tra il Cardinale Pell e il Cardinale Marx. Come si sa sono due prelati di altissimo rango che sono su posizioni diverse su molte cose. Eppure il Papa li ha messi in campo sul fronte economico. Perché? 

Perché l’elezione di Bergoglio nasce da un ampio fronte antiromano’, in un certo modo ‘antitaliano’ che ha visto convergere riformatori e conservatori verso un unico obiettivo: smantellare il sistema di potere costruito sul rapporto fra Curia vaticana e potere politico-economico italiano; in fondo concetti come quello di ‘finanza bianca’ appartengono a un’altra epoca, alle stagioni della democrazia cristiana, ai banchieri più o meno virtuosi legati al mondo cattolico e ai suoi valori. Una realtà che si è frammentata, dissolta, mischiata con le altre – almeno in molti casi – mentre il patto trono-altare (Vaticano-politica) in Italia diventava sempre più evidente e direi sempre più scadente, con venature integraliste intransigenti, nel frattempo si susseguivano gli scandali, da qui una reazione trasversale anche dentro la Chiesa.  

Come sta procedendo la Riforma dello Ior?

La riforma dello Ior nei suoi fondamentali – dall’allontanamento della clientela sospetta, alla pubblicazione dei bilanci, alle denunce interne di irregolarità – sia più o meno compiuta. Resta da vedere cosa farà in futuro lo Ior, se investirà cioè le sue risorse finanziarie sui mercati internazionali o sarà soltanto un istituto finanziario finalizzato a ‘conservare’ il risparmio di enti e congregazioni religiose senza farlo fruttare finanziariamente (diciamo senza guadagnarci). È una scelta di tipo etico, di indirizzo, sulla quale in Vaticano è in corso una discussione non semplice. Si tenga conto che, una volta levata di mezzo la segretezza e le operazione illecite che questa permetteva, lo Ior come tale, con i suoi 6miliardi di patrimonio, è una banca di dimensioni medio-piccole.

Come si sa questo Papa non è molto amato nei grandi circoli del capitalismo americano. È cambiato qualcosa dopo la visita negli Usa?

Questo papa viene dall’America Latina e porta con sé una fortissima carica critica, profeticamente ispirata dal Vangelo, verso la finanza internazionale, giudicata uno strumento non al servizio del bene comune e dei poveri ma di pochi ‘eletti’. Il Papa invece ha messo al centro ‘gli scartati’, le periferie. Certo che i circoli ultraliberisti non lo amano, ma la cultura liberale più aperta e democratica, quella che vuole ripensare il welfare senza privatizzarlo, che crede al libero mercato ma anche ai diritti sociali, al lavoro e non solo alle borse, penso invece si stia confrontando con Francesco. 

Ultima domanda. Il rapporto tra la Chiesa e il denaro (Mammona per il Vangelo), durante i secoli, ha conosciuto diverse fasi e, come si è visto nella storia passata dello Ior, non tutte trasparenti. Riuscirà Papa Francesco con la sua radicalità evangelica a rendere più trasparente e più libero questo rapporto?

Difficile dirlo, l’equilibrio sarà sempre incerto: le opere, anche quelle di carità, di solidarietà, di aiuto ai diseredati o di sostegno alle comunità in campo educativo, formativo, hanno bisogno di essere finanziate. Dunque il denaro non è il demonio di per sé, è uno strumento a disposizione degli uomini e delle donne di questo tempo e di quello futuro. Senza moralismi è giusto considerare che tutto, al solito, dipende dalle scelte delle persone, dalla presa di coscienza di ciascuno di noi, un discorso che vale nello stesso modo per cardinali, vescovi o economi di diocesi, come per ogni cittadino. Le regole, le leggi, aiutano, ma senza una volontà positiva nata dal contesto culturale, religioso, sociale nel quale si vive, diventano inutili o possono rivelarsi insufficienti.