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ITALIA

Processo in trasferta nell'aula bunker di Rebibbia

Strage di Capaci, Brusca: "Falcone era in cima alla lista delle persone da uccidere"

Prima della strage di Capaci ci furono, a partire dal 1983, quattro progetti di attentato contro Falcone da parte di Cosa Nostra. Lo ha detto il collaboratore di Giustizia, Giovanni Brusca, già condannato per la strage di Capaci, sentito oggi come testimone nell'ambito del processo Capaci bis

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Giovanni Brusca
Il giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992, era in cima alla lista dei nemici che Cosa nostra aveva intenzione di eliminare fin dagli anni Ottanta. Lo ha rivelato il pentito, Giovanni Brusca, ex boss della cittadina di San Giuseppe Jato, a pochi chilometri da Palermo, nel corso della sua deposizione al secondo processo in corso per l'eccidio dell'autostrada A29. Falcone e la moglie, arrivati da Roma a Palermo, saltarono in aria insieme con i tre agenti della scorta mentre viaggiavano lungo l'autostrada che collega l'aeroporto di Palermo con il capoluogo siciliano. 

Per Cosa nostra Giovanni Falcone "era il numero uno" nella lista delle personalità da uccidere. È quanto affermato dal collaboratore di giustizia, Giovanni Brusca, al processo sulla strage di Capaci, in trasferta nell'aula bunker del carcere di Rebibbia.

Nessun estraneo a Cosa nostra per la strage di Capaci
"Sulla strage di Capaci - mi scusi la presunzione - il dominus ero io". Ad affermarlo è stato Brusca, deponendo davanti la Corte d'Assise di Caltanissetta. Il collaboratore, rispondendo alle domande del Pm Onelio Dodero, si è soffermato sulle fasi iniziali ed esecutive della preparazione dell'esplosivo da utilizzare per la strage di Capaci, buona parte delle quali si svolsero nella villetta di Antonino Troia.
"Nella villetta di Antonino Troia, c'erano solo uomini di Cosa nostra. Non c'erano persone estranee, i lavori li ho condotti io. Non c'erano persone al di là di Cosa nostra", ha sostenuto il pentito. Nella villetta sono stati caricati 13 bidoncini di esplosivo. "Inizialmente - ha aggiunto Brusca - avevamo pochi bidoncini a nostra disposizione. Erano pochi, non bastavano. Ferrante è andato quindi a comprarne altri. Nella villetta di Troia si svolsero le operazioni di travaso degli esplosivi". Il commando misurò anche la lunghezza del canale di scolo del cunicolo sotto l'autostrada da dove sarebbe transitato il giudice Falcone. "L'abbiamo misurata attraverso una corda. È stato semplicissimo". Il collaborante ha anche detto che si recava nella villetta di Troia in compagnia di Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera.

La riunione di "Cosa Nostra" nel Natale 1991
Brusca ha raccontato di vendette di mafia nei confronti di politici e magistrati per l'esito del Maxiprocesso, in una riunione nel Natale del 1991. Il pentito ha ricordato che "non c'era bisogno di fare i nomi" della lista di personalità da uccidere, perché "era sottinteso che Giovanni Falcone era il numero uno e lo sapevano pure i gatti che dovevamo ucciderlo. Io stesso lo seguivo dal 1981 e per me, come per tutti gli altri, era scontato". L'ex boss di San Giuseppe Jato, poi, ha proseguito: "In quella riunione si parlò della strategia politica, di quello che doveva fare Cosa nostra".

I vari piani per uccidere Falcone
Cosa nostra puntava all'uccisione di Giovanni Falcone "già dopo la strage di via Pipitone Federico del luglio 1983", in cui a Palermo perse la vita il giudice istruttore Rocco Chinnici. "In quell'anno - ha detto Brusca - pedinai Falcone e iniziai a studiarne le abitudini, ma poi il progetto fu sospeso". Il pentito ha rivelato inoltre che una delle opzioni al vaglio dei boss per l'eliminazione del magistrato "era quella di imbottire un vespone di tritolo da far saltare poi al tribunale al passaggio di Falcone. Poi ho saputo, nell'87, di un progetto per colpire Falcone, era stato preparato un bazooka, mi raccontò Di Maggio, ma l'idea non fu portata a termine".  

Dopo Maxiprocesso due commandi per uccidere Falcone, uno a Roma e l'altro a Palermo
Dopo la sentenza definitiva sul Maxiprocesso, pronunciata dalla Cassazione nel gennaio 1992, Cosa nostra aveva messo in piedi due 'squadre' per eseguire l'omicidio di Giovanni Falcone: una a Roma e un'altra a Palermo. Brusca ha spiegato che "per Falcone c'era una squadra che si stava muovendo a Roma e che doveva ucciderlo con armi convenzionali". Del commando operativo nella capitale, secondo Brusca, avrebbero fatto parte, tra gli altri, "Matteo Messina Denaro e Vincenzo Sinacori. Questo - ha precisato il pentito - l'ho saputo da Riina, così come dell'esistenza di un'altra squadra che progettava di uccidere Falcone a Palermo, con un'autobomba. Di questo secondo gruppo facevano parte Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi".

Brusca, esplosivo Capaci proveniva da Brancaccio 
Secondo le indagini, prima condotte dalla Dda di Napoli e poi trasferite a Firenze per competenza territoriale, l'esplosivo (tra cui tritolo e dinamite) sarebbe stato prelevato da un deposito in contrada Giambascio a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, controllato da Giovanni Brusca. 
"Totò Riina mi disse che l'esplosivo usato per le stragi di Capaci e di via D'Amelio proveniva dai 'picciotti' di Brancaccio e che era stato ricavato dai residuati bellici. Me lo consegnò personalmente Salvatore Biondino, io non ho mai visto Giuseppe Graviano portarmi il tritolo".
Parte di quell'esplosivo, ha riferito Brusca, era già stato usato nell'83 per uccidere il giudice Rocco Chinnici e sarebbe servito anche per attentare alla vita di Pietro Grasso, allora procuratore di Palermo, anche se poi il piano non ebbe seguito.
"Decidemmo di preparare l'attentato a Giovanni Falcone a Capaci, in autostrada perché farlo a Palermo avrebbe potuto comportare il rischio di uccidere vittime innocenti". Inizialmente in alternativa al cavalcavia pedonale sull'autostrada si pensò di fare l'attentato mettendo l'esplosivo in alcuni cassonetti della spazzatura nei pressi dell'abitazione del magistrato". 

I ricordi di Brusca sull'attentato
"Assieme ad Antonino Gioè - ha riferito ancora Brusca - ero appostato sulla montagna aspettando che passasse il corteo delle auto di scorta. Ad un certo punto Gioe', che aveva il binocolo, mi disse: 'Vai, vai vai', Antonino me lo disse tre volte che potevo schiacciare il telecomando, quando arrivò il corteo con il giudice Giovanni Falcone. Non so perché ma non schiacciai subito il telecomando. C'era qualcosa che mi diceva di non farlo" - ha ricordato Brusca - "Subito dopo l'esplosione mi venne a prendere Gioacchino La Barbera. Mi disse che avevamo fatto una crudeltà, sentendo i commenti della gente. Avevamo ucciso il giudice Giovanni Falcone". Rispondendo ad una domanda del Pm, Onelio Dodero, Brusca ha escluso che la strage potesse fallire: "In base alle prove che abbiamo fatto, eravamo certi della riuscita dell'attentato. Non c'è stata nessuna sorpresa". Falcone, appena atterrato all'aeroporto di Punta Raisi di ritorno da Roma, stava percorrendo l'autostrada A29 in direzione Palermo quando Brusca azionò il telecomando che fece saltare in aria entrambe le carreggiate.