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CULTURA

Famiglie omosessuali e diritti, intervista a Giovanni Dall'Orto

Matrimonio gay: capriccio o realtà storica?

Oltre 200 mila persone hanno partecipato, domenica 13, al Gay Pride di Roma. Un corteo festoso, al culmine di un ardente dibattito su famiglie arcobaleno e unioni civili, acuitosi lo scorso 9 giugno con l'approvazione, da parte dell'Europarlamento, di un rapporto sull'uguaglianza di genere in Europa.
 

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Giovanni Dall'Orto (foto di Michael Taubenheim)
di Laura Mandolesi FerriniRoma
Posizioni e pareri inconciliabili continuano a succedersi. Monsignor Georg Ganswein, segretario particolare di Benedetto XVI, ha definito "inaccettabile" equiparare le unioni gay al matrimonio, mentre Matteo Orfini, presidente del Pd, proprio durante il Pride ha affermato: "Presto avremo una legge moderna per il riconoscimento delle coppie omosessuali". La questione è delicata e sfiora incertezze e paure di molti. Certo è che un ampliamento dei diritti, anche se di pochi, è una conquista sociale per tutti. 

Sull'argomento abbiamo sentito Giovanni Dall'Orto, storico e scrittore impegnato nella causa dei diritti gay.

La decisione del Parlamento Europeo sul riconoscimento delle famiglie gay ha suggerito al Gay Center di Roma di chiamare la giornata del Pride, "Family Gay", in risposta al Family Day. Questo rispecchia una necessità importante in Italia, dove i diritti degli omosessuali stentano a essere accettati?
Il 'Family gay' in realtà è stato già celebrato nel 2007 dopo il 'Family Day', che aveva riempito a metà piazza san Giovanni con quello che fu battezzato 'il popolo del Family Day'. Qualche mese dopo il Gay Pride, proprio con lo slogan 'family gay', riempì per intero la stessa piazza, e non a caso da quell'istante del 'Family Day' nessuno ha più sentito parlare. Adesso sento dire che vogliono riproporre il Family Day, ma finirà nello stesso modo, perché in Italia ormai è solo la classe politica a opporsi al riconoscimento delle coppie dello stesso sesso, mentre la società è in maggioranza favorevole. Il caso dell'Irlanda dovrebbe avere insegnato qualcosa.

Il giorno dopo l'approvazione del rapporto sull'uguaglianza di genere di Strasburgo, il giurista Alberto Gambino ha dichiarato a Radio Vaticana che è un "grande equivoco chiamare famiglia ciò che, per sua natura, non è famiglia". 
Gambino evidentemente ignora che per la legge anagrafica italiana è 'famiglia' anche un gruppo di suore in un convento. Non capisco l'accanimento di Gambino contro queste povere suore che non hanno fatto del male a nessuno. Cosa che invece non si può dire dei gruppuscoli di estrema destra, che hanno il culto della violenza.

L'organizzazione di estrema destra, Azione Frontale, ha affisso a roma davanti alla sede del Gay Center di Testaccio, manifesti omofobi. Perché, proprio in tempi in cui il concetto di famiglia è così fluido e mutevole, è tanto difficile riconoscere agli omosessuali il diritto alla famiglia? 
Perché per paura del nuovo una parte della società, affezionata ad uno di questi modelli, reagisce al cambiamento condannando tutti i tipi di famiglia diversi da quello preferito, battezzato 'famiglia tradizionale'. Che però è tutto meno che tradizionale, dato che in Italia esiste solo dalla riforma del Diritto di famiglia del 1975. Ma il bello della storia è proprio che la 'tradizione' viene riscritta di continuo in base alle esigenze del presente, ed ecco nascere 'tradizioni millenarie' che però esistono solo da ieri mattina.

La famiglia non sembra tuttavia la questione principale. Quali sono a suo avviso i temi più caldi legati ai diritti degli omosessuali, e la cui soluzione è più urgente?
L'estensione della Legge Mancino sui crimini d'odio, anche ai crimini perpetrati solo per il fatto che la vittima era omosessuale o transessuale. L'assenza di una legge in Italia implica che questi atti di violenza sono approvati dalla nostra società. 

Nel suo recente libro, "Tutta un'altra storia" (Il Saggiatore, 2015), lei ripercorre la storia dell'omosessualità dall'antichità al secondo dopoguerra, e suggerisce che tante battaglie, conquiste e frustrazioni di oggi si possono leggere alla luce della consapevolezza storica. Qual è stata la sua maggiore scoperta durante la ricerca che è sfociata in quest'opera?  
Il fatto che riti di matrimonio fra persone dello stesso sesso si celebravano già nella Roma e nella Napoli del Cinquecento, grazie a qualche prete compiacente. Dunque, contrariamente a quanto sentiamo ripetere oggi, l'aspirazione al riconoscimento sociale dei nostri amori non è un capriccio che ci è venuto negli ultimi dieci o vent'anni: è un desiderio profondo, che ha almeno mezzo millennio di vita. La sola differenza rispetto al passato è che ieri chi chiedeva certe cose veniva bruciato sul rogo, come è avvenuto nei casi di cui parlo nel mio libro, mentre oggi non lo si fa più. Anche se non manca chi vorrebbe continuare a farlo...