ITALIA
Genitori ricercatore incontrano Renzi e poi Capo dello Stato
I genitori di Giulio Regeni da Mattarella: "Impegno a fare piena luce"
Investigatori attendono dati del traffico dei cellulari
L'Italia farà di tutto per fare piena luce sull'omicidio di Giulio Regeni. I genitori del ricercatore ucciso al Cairo, Paola e Claudio, se lo sono sentito ribadire oggi e in maniera diretta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che li ha ricevuti al Quirinale. Un incontro, seguito da quello con il premier Matteo Renzi, composto e riservato, caratterizzato da momenti di forte emotività.
Le parole del Capo dello Stato servono innanzitutto a sottolineare la solidarietà dell'intero paese ma, anche, a ricordare per l'ennesima volta all'Egitto che l'Italia non accetterà mai verità di comodo o, peggio ancora, che le torture e le sevizie subite da Giulio rimangano senza un colpevole.
Perché è proprio questo il timore degli inquirenti e degli investigatori del Ros e dello Sco che da ormai un mese sono al Cairo; un timore alimentato dai continui depistaggi che arrivano dall'Egitto, dalle versioni che cambiano ogni giorno e dalla mancanza di una vera collaborazione da parte delle autorità egiziane.
L'ennesima conferma è arrivata ieri con le parole del procuratore aggiunto di Giza Hassam Nassar, l'uomo che ha in mano l'indagine sulla morte di Giulio. Il magistrato ha infatti riferito che in base all'autopsia svolta dai medici egiziani, il ricercatore sarebbe morto "non più tardi delle 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, la mattina del 3 febbraio" e, dunque, "in un lasso di tempo compreso tra il 2 e il 3". Ma non solo: "le violenze che ha subito - ha detto - sono state inflitte tra le 10 e le 14 ore precedenti la sua morte". Peccato che l'esame svolto in Italia dica ben altra cosa e cioè che la morte del ricercatore risale al 30-31 gennaio, dunque almeno 2 giorni prima di quanto dicono le autorità del Cairo.
Così come soltanto adesso l'Egitto ha fatto sapere che l'ultima cella agganciata dal telefonino di Regeni pochi minuti prima delle 20 del 25 gennaio, non è quella che copre la sua abitazione - come le stesse autorità del Cairo avevano sempre sostenuto - ma una che impegna il ripetitore della stazione della metropolitana di El Bothoot, quella da dove Giulio avrebbe dovuto prendere il treno per raggiungere il suo amico nei pressi di piazza Tahir. Perché solo ora è emerso questo particolare, nonostante i tabulati fossero da tempo a disposizione delle autorità egiziane? Il sospetto di chi indaga è che sia stato reso noto solo nel momento in cui i filmati delle telecamere della stazione della metro non erano più recuperabili, perché si sono autocancellati.
E' anche per questo che investigatori e inquirenti, di fronte alla documentazione incompleta ricevuta, hanno rinnovato all'Egitto la richiesta dell'intero fascicolo d'indagine. In cima alle richieste c'è il traffico dei cellulari che il 25 gennaio hanno impegnano la cella che copre la zona attorno all'abitazione di Regeni e il traffico di quelli che il 3
febbraio sono stati agganciati dalla cella dove è stato ritrovato il corpo. Dati ritenuti fondamentali per risalire a chi ha torturato e ucciso il ricercatore.
Le parole del Capo dello Stato servono innanzitutto a sottolineare la solidarietà dell'intero paese ma, anche, a ricordare per l'ennesima volta all'Egitto che l'Italia non accetterà mai verità di comodo o, peggio ancora, che le torture e le sevizie subite da Giulio rimangano senza un colpevole.
Perché è proprio questo il timore degli inquirenti e degli investigatori del Ros e dello Sco che da ormai un mese sono al Cairo; un timore alimentato dai continui depistaggi che arrivano dall'Egitto, dalle versioni che cambiano ogni giorno e dalla mancanza di una vera collaborazione da parte delle autorità egiziane.
L'ennesima conferma è arrivata ieri con le parole del procuratore aggiunto di Giza Hassam Nassar, l'uomo che ha in mano l'indagine sulla morte di Giulio. Il magistrato ha infatti riferito che in base all'autopsia svolta dai medici egiziani, il ricercatore sarebbe morto "non più tardi delle 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, la mattina del 3 febbraio" e, dunque, "in un lasso di tempo compreso tra il 2 e il 3". Ma non solo: "le violenze che ha subito - ha detto - sono state inflitte tra le 10 e le 14 ore precedenti la sua morte". Peccato che l'esame svolto in Italia dica ben altra cosa e cioè che la morte del ricercatore risale al 30-31 gennaio, dunque almeno 2 giorni prima di quanto dicono le autorità del Cairo.
Così come soltanto adesso l'Egitto ha fatto sapere che l'ultima cella agganciata dal telefonino di Regeni pochi minuti prima delle 20 del 25 gennaio, non è quella che copre la sua abitazione - come le stesse autorità del Cairo avevano sempre sostenuto - ma una che impegna il ripetitore della stazione della metropolitana di El Bothoot, quella da dove Giulio avrebbe dovuto prendere il treno per raggiungere il suo amico nei pressi di piazza Tahir. Perché solo ora è emerso questo particolare, nonostante i tabulati fossero da tempo a disposizione delle autorità egiziane? Il sospetto di chi indaga è che sia stato reso noto solo nel momento in cui i filmati delle telecamere della stazione della metro non erano più recuperabili, perché si sono autocancellati.
E' anche per questo che investigatori e inquirenti, di fronte alla documentazione incompleta ricevuta, hanno rinnovato all'Egitto la richiesta dell'intero fascicolo d'indagine. In cima alle richieste c'è il traffico dei cellulari che il 25 gennaio hanno impegnano la cella che copre la zona attorno all'abitazione di Regeni e il traffico di quelli che il 3
febbraio sono stati agganciati dalla cella dove è stato ritrovato il corpo. Dati ritenuti fondamentali per risalire a chi ha torturato e ucciso il ricercatore.