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MONDO

Giornata dell'infanzia e adolescenza

Migranti, quei bambini in fuga

Fuggono da guerre e miserie alla ricerca di un futuro migliore insieme alle loro famiglie, per il diritto a un'opportunità di vita diversa. L'inviato del Tg2, Valerio Cataldi, racconta le storie di alcuni bambini migranti che ha incontrato nei suoi reportage
 

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di Valerio Cataldi
Sayed scuote la testa mentre guarda in tv le immagini di Parigi. L'orrore che scorre sullo schermo già lo conosce. Suo padre voleva farlo diventare un soldato del Daesh, è per questo che Sayed è scappato dalla Libia. A sedici anni si è imbarcato da solo su un barcone diretto in Italia, sua madre lo ha aiutato a scappare da suo padre e dallo stato islamico che ora guarda in televisione mentre fa strage. Vive al sicuro adesso Sayed, in un luogo lontano da suo padre in Italia, ma è preoccupato per i suoi due fratelli piccoli. “Li hanno rapiti gli uomini del Daesh e non sappiamo che fine hanno fatto, mia madre è rimasta in Libia e li sta ancora cercando" mi dice al telefono.



Sayed è uno tra le decine di migliaia di ragazzini minorenni che dall'inizio del 2015 hanno cercato asilo in Europa. L'Unicef ne ha contati 215 mila, settecento al giorno, un vero e proprio esercito di bambini, spesso vittime come Sayed, dello stesso terrore che oggi fa strage nel cuore d'Europa.

Sayed viaggiava su un barcone di legno partito da Misurata, era solo anche se era schiacciato tra altre 411 persone sulla barca lunga appena quindici metri. Una barca piena di donne incinte e di bambini urlanti che passavano tra le braccia degli uomini del pattugliatore Monte Sperone della Guardia di Finanza che li ha intercettati a sole 18 miglia dalle coste della Libia. L'ho conosciuto a bordo di quel pattugliatore Sayed, aveva gli occhi stanchi ed il sorriso di un ragazzino che cercava aiuto e che aveva voglia di raccontare la sua storia. Parlava di suo padre: “mio padre mi ha detto di andare con Isis, ma io sono scappato. I bambini a sedici anni uccidono donne, uccidono uomini. A sedici anni, quando sono ancora piccoli. Loro fanno così. Li prendono uno per uno e li addestrano a fare i terroristi.”



Quella di Sayed è una storia che si ripete su tutte le rotte della migrazione verso l'Europa. È la stessa storia di Fazlullah che è afghano e anche lui scappa dagli integralisti islamici. Anche lui scappa da solo e a sedici anni ha attraversato i Balcani a piedi per sfuggire alla violenza dei talebani. Vittima di una condanna a morte emessa contro la sua famiglia che ha impedito a lui e ai suoi fratelli di essere arruolato. “Volevano insegnarci ad uccidere” raccontava Fazlullah in un inglese stentato, quando lo incontravo in una tenda di plastica immersa nella neve di Subotica al confine tra la Serbia e l'Ungheria, nascosta agli occhi della polizia di frontiera. Il suo viaggio era vicino alla meta. Oggi vive in Austria Fazlullah e posta foto sorridenti su facebook.

Negli ultimi due anni Unicef calcola un numero enorme di bambini costretti a lasciare le proprie case a causa di guerre, violenze e persecuzioni: trenta milioni di bambini. Un numero che si fa fatica a pronunciare, trenta milioni di bambini costretti ad abbandonare tutto e a scappare per riuscire a salvarsi la vita.

Misha è una bambina di tredici anni. Ha camminato per centinaia di chilometri assieme alla sua famiglia sull'autostrada verso l'Europa. Misha è siriana e viene da Aleppo. La sua casa è stata rasa al suolo dalle bombe del regime siriano. Sotto quelle bombe è morta la sua sorella più piccola. La incontriamo mentre cammina sull'autostrada. Suo fratello grande ha una grande valigia sulle spalle e spinge la carrozzina della nonna che ha un problema alle ossa e non può camminare. Suo fratello più piccolo abbraccia un bottiglione colmo d'acqua da bere che deve dissetare tutti durante il lungo viaggio. “Non sono mai andata a scuola in vita mia”, mi dice Misha mentre cammina a fianco del padre. Il suo sogno più grande è andare a scuola, avere una classe, un banco con i libri e la maestra e i compagni intorno a lei. È la sola cosa che vuole e che cerca di raggiungere camminando sull'autostrada per l'Europa.

Lei e la sua famiglia camminano assieme ad altre migliaia di siriani partititi prevalentemente da Istanbul per andare a chiedere all'Europa di aprire il confine con la Grecia e di lasciarli passare in sicurezza. Chiedono di non essere costretti ad attraversare il mar Egeo e rischiare la vita per raggiungere le isole greche. Da pochi giorni tutti i giornali del mondo hanno pubblicato la foto del piccolo Aylan, il bambino con la maglietta rossa annegato e riverso sul bagnasciuga di una spiaggia turca. Quella immagine ha scosso le coscienze di molti in Europa, nei siriani invece ha reso forte la coscienza dei propri diritti, soprattutto il diritto di raggiungere vivi l'Europa per avere la possibilità di chiedere asilo e protezione internazionale.


(Una bambina gioca mentre i migranti attendono il trasferimento al campo di Brezice)

Camminano e vanno verso la città turca di Edirne al confine con la Grecia. Misha gioca con una sua amica sulla collina di fronte ad Edirne dove la polizia turca ha costretto i siriani a fermarsi. Parlano tra loro e il loro dialogo racconta con precisione cosa è la cosiddetta crisi dei rifugiati:

“Se andiamo in Germania ci tagliano la testa?”

“No, se fossimo in Siria ci sarebbe Daesh che taglia le teste, per questo andiamo in Germania”

“Quindi in Germania non ci tagliano la testa?”

“No. Credevi lo facessero? Se adesso fossimo in Siria e Daesh ti vedesse vestita in questo modo ti taglierebbe la testa e taglierebbe la testa a tuo padre. E se tua madre non mettesse il niqab taglierebbero la testa anche a lei. Hai capito?”

“Sì, ho capito, va bene.”


Misha e la sua famiglia, insieme ai cinquemila siriani arrivati ad Edirne sono stati sgomberati dalla polizia turca. Li hanno caricati a forza su dei pullman che li hanno riportati indietro. Molti di loro hanno scelto di andare verso la costa turca per imbarcarsi sui gommoni che chiedevano di non essere costretti a prendere. Non ho più avuto notizia di Misha e della sua famiglia.

Dall'inizio dell'anno sono oltre tremila i morti annegati nel Mediterraneo, settecento i bambini morti annegati. Ma non è solo il mare ad uccidere i bambini sui confini d'Europa.

Osama è morto a sedici anni precipitando dalla scogliera. È successo una notte d'estate mentre andava a dormire nelle grotte sotto il faro del porto di Melilla, enclave spagnola in Marocco. Ha perso l'equilibrio ed è precipitato il piccolo Osama che aveva anche lui la sua foto sorridente su facebook. Veniva dal Marocco Osama e viveva nascosto assieme ad un centinaio di ragazzini come lui scappati dalla miseria delle città del Marocco e accampati nelle grotte della scogliera. Bambini perduti che ogni giorno cercano di imbarcarsi sui traghetti diretti in Spagna, anche loro con il sogno dell'Europa dove riuscire a trovare un lavoro per mandare soldi a casa. Il più piccolo di quei bambini apriva le mani di fronte al suo viso per dirci quanti anni avesse.

Dieci anni Ahmed e dodici Amin, i più piccoli dei bambini nascosti tra le rocce della scogliera di Melilla, entrati dalla frontiera con il Marocco nascosti dentro il motore di una macchina, o dentro un trolley come quel bambino trovato dai raggi x della polizia di frontiera di Ceuta (la seconda enclave spagnola in Marocco) un'altra foto che ha scosso le coscienze d'Europa per qualche settimana. Poi è morto Osama e la Guardia Civil ha sgomberato i bambini perduti dalle grotte della scogliera del faro di Melilla, sotto al quale si erge la sola statua ancora in piedi di Francisco Franco sanguinario dittatore di Spagna.


Viaggiano da soli i bambini in fuga dalla guerra e dalla miseria. Viaggiano nascosti nei trolley, nel vano motore delle macchine, su gommoni di cartone che si sfasciano in mezzo al mare con grande facilità. Rozeline a quindici anni viaggiava su uno di quei gommoni e riusciva ad attraversare il mar Egeo al secondo tentativo. Viene da Damasco Rozeline. L'ho incontrata a Bodrum, sulla costa turca, prima che riuscisse ad arrivare in Europa.Insieme a sua madre mi raccontava del primo tentativo di attraversare il mare, raccontavano di quando da una motovedetta turca hanno sparato contro il loro barcone per fermarli e i fori nello scafo hanno fatto affondare lentamente la barca. Era con sua madre Rozeline, quando raccontava di essere sopravvissuta al naufragio seguito alla sparatoria nella quale erano morte almeno trenta persone. Mesi dopo l'ho rivista a Roma. In tasca aveva una carta di identità che diceva che il suo nome era Hanna Luigi, nata a Roma diciannove anni prima, stato civile libere, residente in via Herzynsj. Un documento evidentemente falso con cui ha viaggiato dalla Grecia fino in Italia superando senza problemi il controllo all'aeroporto.

A quindici anni viaggiava da sola Rozeline con in tasca documenti falsi pagati migliaia di euro per arrivare in Svezia. Anche lei in fuga da Daesh e dalle bombe del regime di Bashar al Assad, con la disperata determinazione a sopravvivere anche alle frontiere d'Europa.