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ITALIA

Intervento sul Corriere della Sera

Mika e l'insulto omofobo sul poster: "Perché ho scelto di reagire"

Il cantautore spiega cosa lo ha spinto a denunciare gli insulti scritti sul manifesto del suo concerto di Firenze: "Il primo istinto è stato non replicare, come quando andavo a scuola, ma così avrei fatto male agli altri e a me"

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Mika durante un concerto (Lapresse)
Il primo istinto: “non dire niente a nessuno, non replicare, non muovermi”. Poi la consapevolezza che “rifiutando di riconoscere gli insulti avrei commesso un errore”. Con un lungo intervento sul Corriere della Sera, il cantautore Mika descrive gli ultimi giorni, dopo l’apparizione di scritte omofobe sul manifesto del suo concerto a Firenze e la decisione di ribattere attraverso i social network, che ha dato il via a una campagna sul web.
 
“Mi sono sentito triste, umiliato”
“Quando ho visto su Instagram la foto del poster di Firenze con la mia faccia imbrattata, mi sono sentito triste, umiliato”, scrive Mika, che racconta come la prima reazione sia stata quella di girarsi dall’altra parte. “Ma i fan hanno iniziato a parlarne, gli amici a scrivermi messaggi. E mi sono reso conto che la mia prima reazione era ancora quella di un tempo, quella di una persona molto giovane che si sentiva impotente”.
 
“A scuola ero così, inerme”
Confessioni dolorose, quelle del cantautore 31enne, che ricorda: “A scuola ero così, inerme. Se allora avessi risposto mi avrebbero picchiato e non avrei ottenuto altro che tornare a casa con un livido in faccia. So che cos’è il bullismo, mi venivano addosso. Per razzismo, per il fatto che mia madre era grassa o perché in quel periodo avevamo problemi di soldi. Soprattutto, l’80 per cento delle volte, per la mia sessualità”.
 
“Adesso io sono in una posizione di privilegio”
Oggi però Mika è cresciuto e ha la fortuna di poter parlare a una grande platea. “È una delle poche volte nella mia vita in cui sono stato costretto a scegliere il confronto diretto su bullismo e omofobia – scrive - mi sono reso conto di quanto le cose siano cambiate, di quanto io sia cambiato”. Poi aggiunge: “Mi sono reso conto che c’era sì la mia risposta automatica, ma che adesso io sono in una posizione di privilegio: sono in tour, sono libero e sono circondato da persone libere, ho il mio mondo per fare quello in cui credo e suscitare tolleranza attraverso la musica, i miei concerti. È un lusso enorme”. “Rifiutando di riconoscere gli insulti, avrei comesso un errore: avrei dimenticato il tredicenne che sono stato e avrei fatto male alle persone che non hanno quel lusso e quel privilegio”, afferma Mika.
 
Trasfomare un insulto in una bandiera
Ecco quindi la scelta di pubblicare la foto del manifesto imbrattato su Twitter e Instagram, di rispondere. “Se ti offendono è giusto trasformare un insulto – che un insulto resta – in un bandiera?”, si chiede Mika. “Sì, finché questo provoca una discussione costruttiva, finché aiuta le persone a riflettere su comune un epiteto malpensato e superficiale possa far sentire gli altri”, risponde. “Ma quella parola è comunque un ferita – conclude – È ancora molto forte, ha un sacco di implicazioni negative e può far male. Non accettiamola come normale. Ma non facciamo più finta che non esiste: sarebbe molto più pericoloso”.