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ITALIA

La protesta a Sant'Antimo

Napoli, migranti in piazza chiedono giustizia per i bengalesi

Un centinaio di migranti in assemblea per ribadire il diritto alla giustizia di un gruppo  di operai bengalesi che hanno denunciato i loro datori di lavoro e oggi rischiano ritorsioni

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La protesta dei migranti (Ansa)
Sant'Antimo (Napoli)
Una storia lunga quella dei coraggiosi lavoratori bengalesi del settore tessile nel Napoletano. Tempo fa infatti avevano denunciato i loro datori di lavoro a causa dei "turni inumani a cui sono sottoposti, senza neppure una giusta retribuzione". Con l'associazione "3 febbraio" avevano chiesto provocatoriamente lo status di schiavi. Ma dopo la denuncia, l'unico risultato ottenuto sono state "ritorsioni dei datori di lavoro".

L'assemblea odierna, cui hanno partecipato circa cento persone, è stata organizzata proprio dopo la denuncia per aggressione presentata da uno degli imprenditori nei confronti di un suo operaio che lo aveva a sua volta denunciato per schiavitù.

A seguire la lettera che i lavoratori hanno scritto, dove viene descritta la loro condizione.

La lettera dei lavoratori bengalesi
Vi scriviamo per chiedervi una mano. Tanti di voi ci conoscono: siamo gli schiavi delle fabbriche di S.Antimo (NA) da oltre un anno in lotta. E stato impegnativo finora unire persone che sono sfruttate 14 ore al giorno, picchiate e offese nella propria dignità e pagate meno di 300 euro al mese. Tutto ciò si consuma nell’ipocrisia e nell’indifferenza di chi preferisce voltarsi dall’altro lato. Il famoso made in Italy infatti è cresciuto in questi anni sulle nostre spalle, sulle nostre fatiche. Siamo immigrati dal Bangladesh dove purtroppo lo sfruttamento del lavoro, come sapete, è ancora più efferato. Siamo giunti qui convinti di poter trovare pace e diritti, ma così non è stato perché nei luoghi dove lavoriamo viviamo l’inferno. A tutto questo abbiamo detto basta e, sostenuti dall’Associazione 3 Febbraio, abbiamo denunciato i padroni che ci sfruttano. Ci ha dato forza la vostra solidarietà. Il bene che ci avete testimoniato ha permesso ad ognuno di noi, straniero in questo Paese, di sentirsi a casa e di credere che le migliaia di chilometri fatti per giungere fin qui valessero la pena. A questa solidarietà umana non corrisponde però ancora la giustizia, presuntamente difesa dalle leggi di questo stato. Denunciando ci siamo esposti alle ritorsioni e alle minacce di chi difende la barbarie della schiavitù. Abbiamo subito provocazioni razziste ma abbiamo tenuto duro. Oggi però constatiamo una amara verità: gli aguzzini che ci sfruttano sono liberi e, forti della loro impunità, ci attaccano. Qualche giorno fa hanno sporto denuncia contro un nostro fratello, avanguardia di questa lotta, con un’accusa letteralmente inventata. Sono stati capaci di farlo arrestare per due giorni prima che riuscissimo a dimostrare le incongruenze di tale accusa e farlo liberare. La situazione è questa: Il padrone della fabbrica, che noi abbiamo denunciato è libero, continua a sfruttare i lavoratori e a ridurli in schiavitù e noi che lottiamo siamo bersaglio dei suoi attacchi. Ci sarebbe di che perdere le speranze e la fiducia in ogni minima possibilità di giustizia, ma non per noi. Infatti, siamo ancora più convinti che il nostro esempio sia una lezione di dignità e riscatto per tutti, perciò andiamo avanti. Abbiamo bisogno di voi, oggi più che mai per ottenere giustizia, perché sia punito chi schiavizza e accolto chi denuncia tutto questo. Proprio oggi che la vita degli immigrati è sempre più difficile, che cresce il razzismo e la barbarie che costringe tanti nostri fratelli a morire in mare, facciamo sì che un esempio positivo come il nostro non soccomba.