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POLITICA

La scheda

Nuovo Senato, federalismo e addio alle province: la riforma della Costituzione in sei punti

La riforma costituzionale è stata già approvata dal Senato, ad agosto 2014, e dalla Camera, lo scorso marzo. Ieri l'ultimo passaggio prima della consultazione referendaria

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La riforma, o ddl Boschi (dal nome del ministro che l’ha voluta), è stata pensata con un disegno preciso: superare il bicameralismo perfetto e rendere più forte l’esecutivo. In pratica: le Camere rimangono comunque due, ma con funzioni diverse. Montecitorio è l’unica titolata a dare la fiducia al governo e a votare le leggi, mentre Palazzo Madama farà da raccordo tra lo Stato, gli enti territoriali e l’Unione europea.


Composizione: meno senatori, eletti dai Consigli Regionali, indicati dai cittadini
Sono due le principali novità della composizione della Camera riformata. Nessuna indennità, meno poltrone, da 315 a 100: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 nominati dal Presidente della Repubblica. I senatori resteranno in carica per tutta la durata delle istituzioni territoriali dove sono stati eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge". Così l'emendamento a firma Finocchiaro, approvato in questo secondo passaggio al Senato. Come conciliare il principio che lega la carica di senatore al voto dei cittadini se l'elezione dei senatori è formalmente affidata al Consiglio Regionale? Problema rinviato ad una legge elettorale ad hoc che dovrà essere approvata in seguito.



Competenze: ruolo consultivo, non legislativo
“Resistenza passiva”, così le opposizioni avevano reagito alla chiusura annunciata dal governo pochi giorni fa su eventuali modifiche da apportare all’articolo 10. Quello, che insieme all’articolo 1, ridisegna la mappa delle funzioni del Senato. In linea generale Palazzo Madama perde il potere legislativo, per acquisirne uno “consultivo”, cioè di controllo e di verifica dell’attuazione delle norme, delle politiche pubbliche, dell’attività delle pubbliche amministrazioni e delle nomine spettanti al Governo. Sono previste però le eccezioni. Il bicameralismo perfetto verrà ripristinato solo in questi casi: leggi costituzionali, tutela delle minoranze linguistiche, referendum popolari, normativa di Comuni e città metropolitane ed europea. Inoltre il Senato eleggerà due dei quindici giudici della Corte Costituzionale oltre a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica.

Colle: modifica dell’articolo 83
Quello della Costituzione attuale, in base al quale il Capo del Stato, dopo il terzo scrutinio, è eletto con la maggioranza assoluta. Nel nuovo assetto, scompaiono i delegati regionali (sostituiti dai senatori) e cambia il quorum: dalla settima votazione basteranno i tre quinti dei votanti per scegliere il nuovo inquilino del Colle. Questa l’impostazione attuale, adottata da Montecitorio a marzo e confermata ora dall’altra Camera, ma non la versione desiderata inizialmente dalla coppia Renzi- Boschi. Il governo avrebbe preferito la maggioranza assoluta dopo l’ottavo scrutinio.

Federalismo differenziato: premiate le Regioni “virtuose”
Il Titolo V della Costituzione, già oggetto di riforma nel 2001, regolamenta i rapporti tra Stato e autonomie locali. Il ddl Boschi elimina le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, disciplinate dall’articolo 117 della Costituzione, e attribuisce al primo la legislazione esclusiva in alcuni ambiti come politica estera, immigrazione, difesa, ordine pubblico, infrastrutture, tutela dell’ambiente e dell’istruzione. L’Aula ha accolto anche l’emendamento “Devolution” di Francesco Russo (Pd) con il quale viene incentivato il cosiddetto “federalismo differenziato”, che distingue tra Regioni virtuose e non. Solo alle prime lo Stato potrà decidere di “devolvere” ulteriori poteri, comprese le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e il commercio con l’estero”. Sempre in nome del "principio virtuoso", l'articolo 33 stabilisce costi standard per tutte le Regioni.

Cnel e Province: eliminazione degi "enti inutili"
Uno dei simboli della “rottamazione costituzionale” dell’ex sindaco di Firenze è l’abolizione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: non solo l’organo di consulenze delle Camere e del Governo, ma soprattutto – nel’immaginario comune- una delle zavorre a carico delle casse dello Stato. L’articolo 99 della Costituzione verrebbe quindi spazzato via dall’articolo 27 della riforma. Entro trenta giorni dall’approvazione della legge, un commissario straordinario avrà il compito di liquidare e ricollocare il personale. Oltre al Cnel, anche le Province cadranno sotto la scure della riforma del Titolo V: intanto la legge Delrio, entrata in vigore nell'aprile 2014, le ha trasformate in "enti territoriali di area vasta".

Referendum: entra quello “propositivo”
Per presentare un quesito referendario serviranno sempre 500mila firme, tuttavia il quorum può essere ridimensionato se i comitati ne raccoglieranno 300mila in più: dal 50% più uno degli aventi diritto al 50% più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale. Accanto a questa, la riforma parla anche di altre due novità: l’introduzione di referendum propositivi (oltre a quelli abrogativi) e 150mile firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare. Il triplo rispetto alla soglia attuale.