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MONDO

L'intervista

Obama: un errore sostenere l'intervento Nato in Libia nel 2011

In un lungo colloquio con "The Atlantic", il presidente americano lancia stoccate a Londra e Parigi: "Pensavo avrebbero sostenuto un peso maggiore dell'operazione", dice. E critica anche l'Arabia Saudita, che tenta di trascinare gli Stati Uniti in pesanti conflitti settari che poco hanno a che fare con gli interessi americani

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Il Pentagono prepara i piani per un nuovo intervento in Libia. Ma Barack Obama ammette che il suo sostegno dato all'intervento della Nato nel 2011 fu "un errore", dovuto in parte alla sua errata convinzione che Francia e Gran Bretagna avrebbero sostenuto un peso maggiore dell'operazione.

"Non ha funzionato" e "nonostante tutto quello che si è fatto, la Libia ora è nel caos", ha detto il presidente in una lunghissima intervista sulla sua politica estera al The Atlantic, che la titola "The Obama doctrine", durante la quale si è tolto qualche sassolino nella scarpa nei confronti di alleati, dei paesi del Golfo ma anche europei, bollati come "opportunisti".  

"Quando mi guardo indietro e mi chiedo cosa sia stato fatto di sbagliato - ha spiegato Obama - mi posso criticare per il fatto di avere avuto troppa fiducia nel fatto che gli europei, vista la vicinanza con la Libia, sia sarebbero impegnati di più con il follow-up". E fa il nome del presidente Nicolas Sarkozy "che voleva vantarsi di tutti gli aerei abbattuti nella campagna, nonostante il fatto che avessimo distrutto noi tutte le difese aeree". Ma anche questo andava bene perché, continua pragmaticamente Obama "permise di acquistare il coinvolgimento della Francia in modo che fosse meno costoso e rischioso per noi". Obama non esita poi a coinvolgere nelle critiche anche David Cameron che dopo l'avvio dell'intervento perse interesse, "distratto da una serie di altre questioni".

Pressioni per l'intervento. Amministrazione Usa divisa
Nella lunga intervista Obama ricorda come la sua amministrazione fosse spaccata sull'intervento - con Hillary Clinton, bisogna sottolinearlo, alla guida dei falchi - e come vi fossero pressioni da parte dell'Europa e dai paesi del Golfo all'azione, come da sempre gli alleati fanno con Washington. "E' ormai diventata un'abitudine negli ultimi decenni - si lamenta Obama - che in questi circostanze la gente ci spinga ad agire ma non mostra nessuna intenzione di rischiare nulla nel gioco".  Sono "opportunisti", concorda Obama con l'intervistatore usando il termine "free rider", cioè quelli che viaggiano gratis, rivolgendo anche un serio monito all'Arabia Saudita, alleato storico che ha duramente criticato l'accordo nucleare con Teheran, sottolineando come debba imparare a "dividere" la regione con l'arcinemico iraniano con il quale condivide la responsabilità di attizzare i conflitti in Siria, Iraq e Yemen.  I sauditi "devono trovare un modo efficace di condividere il vicinato ed istituire una pace fredda" ha poi aggiunto, spiegando che se gli Usa dovessero sostenerli acriticamente contro l'Iran "questo significherebbe che noi inizieremmo ad usare i nostri interventi e la forza militare per azioni punitive, ma questo non sarebbe nell'interesse degli Usa nè del Medio Oriente".

Orgoglioso di aver fatto marcia indietro sui raid in Siria nel 2013
Obama è "orgoglioso" della decisione presa nell'agosto del 2013 di fare marcia indietro, quando ormai le macchine della guerra e del consenso si erano messe in moto, sulla decisione di avviare i raid aerei in Siria per punire l'utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar Assad. "Sapevo che premere il pulsante di pausa per me avrebbe avuto un costo politico, ma sono riuscito a svincolarmi dalle pressioni e pensare in modo autonomo a quale fosse l'interesse dell'America, non solo rispetto alla Siria ma anche rispetto alla democrazia", così si è confidato il presidente nei lunghi colloqui avuti con Jeffrey Goldberg, autore dell'articolo "The Obama doctrine" pubblicato da The Atlantic.