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MONDO

Visita pastorale

Pace, speranza, riconciliazione, il filo conduttore del viaggio di Francesco in Africa

Dal 4 al 10 settembre il quarto viaggio apostolico: il pontefice visiterà Mozambico, Madagascar e Mauritius

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di Roberto Montoya


Terra di conflitti e di forti cambiamenti climatici, dal 4 al 10 settembre l’Africa sarà protagonista del quarto viaggio apostolico di Papa Francesco. Mancanza di stabilità ma anche una fede giovane, genuina, forte e in crescita: Mozambico, Madagascar e Mauritius attendono l’arrivo del pontefice, visto come il garante della chiesa Universale, come il seminatore di pace per antonomasia, che sostiene e incoraggia gli ultimi. La sua presenza sarà vitale come un balsamo, in una terra martoriata dalla violenza, dalle ferite indelebili di migliaia di cattolici e non, tormentati dalla ferocia di dittatori e conflitti, in nome del “progresso”.

Il Vescovo di Roma visiterà i tre Stati africani, i più diversi del continente, segnati da forti contraddizioni nel segno della speranza, della pace e della riconciliazione, con un occhio di riguardo alle periferie, “le chiese famiglie”, come vengono chiamate in Mozambico, dove recentemente è stato firmato l’accordo di pace fra i due leader mozambicani, che mette fine agli scontri armati tra le forze di difesa e di sicurezza del Mozambico e l’ala armata dell’opposizione. Torna la pace nel paese che è prossimo alle elezioni politiche in autunno; con la speranza in un futuro luminoso per il continente. La popolazione del Mozambico, indipendente dal 1975, è di 27 milioni di abitanti; il 56% della popolazione è cristiana, in prevalenza cattolica. Il 18% si dichiara musulmano e il 19% non credente, ma con una parte che pratica riti animisti tradizionali.

Il Madagascar è un Isola che costeggia l’oceano indiano, al largo delle coste del Mozambico; gli abitanti sono circa 25 milioni, 18 le tribù indigene, il 46% sono cristiani, la chiesa cattolica è presente dal XVI secolo. Quarta isola più grande al Mondo, il Madagascar è uno dei paesi più poveri del pianeta. E’ costituito in grande parte da asiatici e i suoi abitanti non si considerano africani. La lingua è il Malgascia. Circa metà della popolazione è di religione animista.

La terza e ultima tappa del viaggio di Papa Francesco è l’Isola di Mauritius, nell’Oceano Indiano. La città di Port Louis è composta da 150 mila abitanti. Il 68% della popolazione è composta da indo-Pakistani, seguiti dai creoli con il 27,4%, i Cinesi con il 3% e i francesi con il 2%. Il resto sono Africani (schiavi durante la dominazione francese). In questa isola, tropicale e vulcanica, prevale la religione induista con il 49,9%, seguita dai cristiani con il 32,5% e dai musulmani con il 17,5% della popolazione.

La chiesa in Africa è viva, dinamica, unita nelle diversità, giovane. Sa ascoltare i segni del tempo. Una chiesa, però, che soffre ancora di una mancanza di profondità: il Vangelo non diventa una cultura di vita quotidiana. Nonostante tutto, le vocazioni in questi tre paesi sono in crescita, un buon segnale per la chiesa Universale, soprattutto nel vecchio continente Europeo dove le vocazioni sono in calo.

Sarà un momento di forte abbraccio, sincero, con centinaia di missionari, Sacerdoti, suore, laici che riconoscono in questo Padre Spirituale un filo di continuità e coerenza con il Vangelo di Cristo. Sono i “docili pennelli” nelle mani del Signore, che pagano a volte con la propria vita, testimoni di fede, al servizio dei poveri, ma anche poveri svuotati della speranza di un futuro migliore.

L’economia in Africa si basa in gran parte sull’agricoltura, il cui ciclo vitale dipende molto dell’andamento del clima, motore della sua sopravvivenza. Le persone si vedono obbligate ad abbandonare la propria terra a causa dei problemi naturali dovuti all’inclemenza del tempo, dei forti contrasti tra i partiti politici, che recentemente hanno anche portato alla guerra civile, e a una forte insicurezza dovuta alla mancanza di ordine pubblico che non permette loro di sopravvivere, o meglio dire, vivere umanamente.

Siamo abituati a vedere gli africani come persone fondamentalmente povere, sfortunate, ma felici. Abbiamo creato il mito del buon selvaggio. Inoltre, siamo abituati a immaginare l’Africa delle immense distese della Savana, dei tramonti e delle magie dei colori. Ma la maggior parte degli Africani non vive in quella condizione. L’Africa di oggi sono gli inferni metropolitani, megalopoli come Kinshasa, Nairobi, estremamente problematiche. Le dittature del passato hanno trasformato le coscienze degli abitanti delle grandi città. In altre parole, il punto di partenza di un’autentica cultura dello sviluppo deve essere la convinzione non di una “cultura occidentale”, di una “cultura africana” o dell’idea stessa di “altra cultura”. L’obbiettivo deve essere una “cultura universale dell’uomo”.

Le proiezioni demografiche prevedono per il 2050 una popolazione mondiale superiore ai 9 miliardi. Oggi gli africani sono 1 miliardo e 256 milioni; nel 2050 dovrebbero essere il doppio; il continente rappresenta quindi quasi la metà della crescita della popolazione mondiale. Il problema è che in Europa non vogliamo vedere le cose con una prospettiva più ampia. È la cultura dell’incontro che Papa Francesco propone sull’accettazione dell’apertura ai migranti che arrivano spesso per cercare una qualità di vita migliore. Ma anche del dialogo interreligioso tra le culture, volto ad affrontare insieme e risolvere i problemi della società dei nostri tempi.

“I poteri economici – segnala Papa Francesco nella Laudato Sì-  continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che       tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi”.

L’Africa di Papa Francesco vuole stare con i poveri e gli esclusi, toccarli e incoraggiarli, amarli e coccolarli. Vuole predicare il Vangelo, essere uno di loro, condividere dolori e gioie, sogni e speranze. Con gli stessi rischi e pericoli. “Cosa c’è di più utile della passione per portare i santi verso la gloria?” Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore”.



Abbiamo intervistato il professor Giovanni Mottini, infettivologo, esperto di cooperazione internazionale del Campus Biomedico e presidente del Comitato scientifico culturale di Harambee-Africa.org che ha come missione la promozione umana e sociale.

Perché Papa Francesco sta andando in questi tre paesi?

Papa Francesco vede un futuro in Africa, un futuro autentico, che mette al centro l’essere umano, che in quella parte del mondo è stato calpestato finora. Da buon pastore, al centro della sua attenzione ci saranno le piccole chiese. Il pontefice porterà un messaggio vero, che altri non portano, gli altri vedono l’Africa come un futuro mercato. Da lì a pensare che l’Africa avrà un ruolo importante nel futuro del pianeta rischia di essere una scontatezza. È chiaro che questa è una sfida gigantesca. Se vogliamo vedere nella pratica, l’educazione è la chiave di volta, sicuramente molto difficile, molto ardua da proporre, perché chi decide le sorti del mondo non mette l’educazione al primo posto, ma mette l’economia, il mercato. Poi per cambiare l’Africa innanzitutto dobbiamo cambiare noi, dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento della cultura occidentale nei confronti di questo continente. Noi per anni abbiamo esportato in Africa solo i nostri difetti, non le nostre qualità.

Cosa si aspetta il popolo africano da Papa Francesco?

Gli Africani vedono Papa Francesco come un padre, in questo si vede ancora molta spontaneità, come è caratteristico in questi paesi, però Il limite è che non comprenderanno del tutto la sua missione. È un messaggio che sicuramente verrà accolto con grande entusiasmo, ma che rischia di non avere radici profonde. Ma dobbiamo anche dire che c’è stato un lavoro eroico e straordinario dai missionari che dà molti anni hanno professato la nostra fede in questi paesi. La loro presenza è vista con molta positività.

Come definirebbe la fede del popolo africano?

Se vogliamo definire la fede del popolo africano possiamo dire che è molto giovane, possiamo dire che è una fede molta genuina e molta sincera, la fede nativa, perché l’Africano è naturalmente religioso, come in realtà è naturalmente religioso l’uomo. Solo che in quel contesto lo percepisci di più. Non ci sono le nostre soprastrutture culturali, filosofiche che interferiscono sulla fede. Loro sanno perfettamente che c’è un Dio che veglia su tutto e a cui fare riferimento, motivo per cui hanno un forte legame con la religione.

Ma quando parliamo di una fede giovane, genuina in Africa, a cosa si riferisce?

Quando diciamo che è una fede giovane, vogliamo dire che non è una fede completamente matura, e le interferenze sono legate soprattutto al mondo tribale da cui provengono. Come dottore, posso dire che alcune malattie ancora vengono viste come una punizione, maledizione, questo è molto forte. Quindi diventa una fede molto facilmente influenzabile. Anche il livello della preparazione dottrinale è decisamente modesta. Ora se non c’è un’educazione, se le scuole sono scadenti, parlo soprattutto dell’educazione ai bambini fra i 5 e 10 anni, dove il futuro di una nazione se gioca proprio in quell’età, avremo persone che continueranno magari ad essere buone, ma che non hanno gli strumenti intellettivi per tradurre questa bontà in atti buoni.

Perché la visita di Papa Francesco sarà un momento di approfondimento sulla fede?

Se per chiesa intendiamo chi rappresenta la chiesa come gerarchia allora i problemi ci sono. I ministri risentono alcune carenze culturali e dottrinali. A noi potrà sembrerà scandaloso, ma ci sono alcuni sacerdoti cattolici che hanno una mentalità ancora animista. Ci sono grossi problemi di moralità, il fatto che un sacerdote possa avere “moglie e figli” ed essere se vogliamo “coppia di fatto” siamo arrivati al punto che non scandalizza più.

È vero, noi occidentali spesso ci scandalizziamo su alcune costumi africani…

Ai miei studenti dico sempre: “Quando vedi qualcosa in Africa che ti scandalizza devi pensare a come saresti tu se fossi cresciuto in quel contesto e in quella situazione…saresti come loro! Perché dobbiamo tenere presente che molti africani hanno avuto talmente poco dalla vita, e a volte deformato, che per quale motivo dovrebbero essere diversi dà ciò che sono? Questo ti aiuta a capirli, ti aiuta ad aiutarli, a fare qualcosa di utile per loro. Non serve scandalizzarsi. Si alimenta anche la strategia di chi non vuole bene alla chiesa. I ministri sanno, per la formazione che hanno ricevuto, cosa è il sacramento dell’ordine, il celibato, sanno anche che le scelte personali non sono in linea con il sacerdozio e che la loro condotta non è corretta. Ma purtroppo questo è dovuto ad una fede poco consapevole, non interiorizzata, non c’è una fede matura, non hanno mai assimilato fino in fondo magari la scelta che hanno compiuto. Penso che il Papa è capace di una paternità che saprà correggere senza ferire, perché guidato dall’amore e non dall’intento di giudicare.

Qual è la situazione della cooperazione?

I passati decenni di cooperazione, sviluppo, imprenditoria verso l’Africa non hanno avuto successo. La necessità di una revisione critica profonda dell'impegno per lo sviluppo, non solo nei suoi mezzi ma anche nello spirito che lo anima. Si è tutti d'accordo nella constatazione che il modello assistenziale non può rappresentare la strada per l'affrancamento dei popoli dall'indigenza. La precondizione facilitatrice per la salute umana è il rispetto e la promozione dei diritti umani. Se migliorano le condizioni di vita della gente migliora anche la loro salute. Quindi la situazione non è affatto migliorata, anzi oggi stiamo ancora in una logica di vero sfruttamento.  Fino a che gli africani non saranno messi nelle condizioni di costruirsi il proprio futuro; e ciò passa attraverso una educazione che permetta loro di pensare e progettare con libertà. Cioè meno gli africani pensano, più il mercato africano sarà fiorente per chi africano non è . L’Occidente si è mascherato per anni dietro una forma di solidarietà che è stata per molti versi inautentica; perché troppo centrata sul fare e sul costruire e poco attenta alla vera promozione della persona.

https://www.harambee-africa.org