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CULTURA

Domani il responso da Stoccolma

Philip Roth come Leo DiCaprio. Gli eterni favoriti del Nobel Letteratura

Ennesima nomination a vuoto per l'autore del Lamento di Portnoy? Un anno fa, se pure, con posizione diverse, i nomi più papabili erano gli stessi. Quest'anno in testa alla lista ci sono Svetlana Alexievich, Jon Fosse e László Krasznahorkai, vincitore del Man Booker Prize. E il più defilato keniano Ngugi Wa Thiongo.

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Philip Roth
di Cristina Bolzani
"Sono l'eterno favorito Haruki Murakami e il kenyota Ngugi Wa Thiong'o, tallonati dall'outsider bielorussa Svetlana Alexievich, a contendersi il Nobel per la letteratura".
Lo scrivevamo nel 2014. Gli stessi di oggi. Va detto che tra gli scrittori dei pronostici - che pure comprendevano molti altri di questa vigilia 2015, Jon Fosse, Bob Dylan, Milan Kundera, e per noi Umberto Eco e Dacia Maraini - c'era anche quello che poi avrebbe vinto, Patrick Modiano.

The Literary Saloon - vigilia del Nobel minuto per minuto

Anche quest'anno è lunga la lista compilata analizzando le scommesse. Impossibile che mancasse Philip Roth, tra i più grandi scrittori americani del Dopoguerra. L'autore del Lamento di Portnoy negli ultimi anni ci aveva abituato a ricognizioni profonde della decadenza umana, con EverymanIl fantasma esce di scenaIl professore di desiderio. Nel 2012, annucia il ritiro. A dirvi la verità, ho finito. Nemesi sarà il mio ultimo libro. Un outsider, forse troppo spregiudicato per ambire all'Oscar; uno scrittore che negli ultimi anni sembrava prepararsi - anche attraverso i romanzi - alla sua uscita di scena, turbato da un'idea/paura dilagante della fine.

Scrive in L'umiliazione:  «Aveva perso la sua magia. L’impeto era venuto meno. In teatro non aveva mai fallito, tutto ciò che aveva fatto era stato valido e convincente, poi gli successe una cosa terribile: non era più capace di recitare. Andare in scena divenne un tormento. Invece di avere la certezza che sarebbe stato magnifico, sapeva che avrebbe fatto fiasco. Accadde tre volte di seguito, e l’ultima volta Axler smise di interessare alla gente, e in teatro non venne più nessuno. Non era più capace di conquistare il pubblico. Il suo talento era morto».

Narratore essenzialmente umanista per il suo esclusivo interesse a personaggi e psicologie (in Italia pubblicato da Einaudi)  Philip Roth ha ‘cannibalizzato’ la sua vita per decenni distillandone senso e attori nelle sue opere. Una pratica che in qualche caso gli ha procurato il risentimento di chi si era riconosciuto nei suoi libri, come la prima moglie Claire Bloom. Si capisce allora la tensione, l’ossessione dalle quali desiderava uscire per vivere e vivere soltanto, senza il controcanto della letteratura che si dimostra capace di rileggere l’esperienza in una chiave finalmente chiara e intelligibile. Così Philip Roth 'è evaso', a 79 anni, dal suo autobiografismo.

Cosa significhi essere scrittore Philip Roth lo ha fatto capire a volte nei suoi romanzi, come in questo stralcio nel Fantasma esce di scena: «Ma il quoziente di dolore di un individuo non è già abbastanza terribile senza amplificazioni romanzesche, senza dare alle cose un’intensità che nella vita è effimera e certe volte addirittura invisibile? Non per tutti. Per poche, pochissime persone quest’amplificazione, uscendo e sviluppandosi in modo incerto dal nulla, costituisce la loro unica sicurezza, e il non vissuto, la supposizione, impressa per esteso sulla carta, è la vita il cui significato arriva a contare di più.»  E poi c'è la lucidità di un grande, quando ammette: Non credo che un altro libro cambierebbe quello che ho già fatto, e se lo scrivessi probabilmente sarebbe un fallimento. Chi ha bisogno di leggere un altro libro mediocre?