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SALUTE

Bufale e informazione

Ci difendono giornalismo schiena dritta e cultura

le truffe e le bufale sono sempre esistite: essenziale ci sia un giornalismo in grado di individuarle e di restituire la verità dei fatti a chi legge o guarda o ascolta quella informazione. Colloquio di Gerardo D'Amico con Piero Angela

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Piero Angela (Lapresse)
Piero Angela, lei è stato il primo giornalista scientifico in questo Paese, ha vissuto tutta l'evoluzione di questi anni. Qual è la qualità di chi si occupa di divulgazione, nel settore della sanitá?
Non voglio giudicare la qualità di nessuno. Dico solo che scontiamo anche in questo settore quello che è un gap del Paese, la scarsa diffusione della cultura scientifica: se a questo aggiungiamo che per indole siamo particolarmente emotivi, e che spesso di questioni che presupporrebbero una precisa preparazione parlano e soprattutto prendono decisioni personaggi che quella preparazione non hanno, ecco che nascono i casi Di Bella o Stamina. Ricordo che all'epoca delle polemiche su Di Bella sottoscrissi una lettera-appello in cui ci lamentavamo dei molti servizi giornalistici scritti da persone che non sapevano minimamente di cosa stessero parlando, diffondendo false convinzioni.

Anche allora c'era gente che scendeva in piazza chiedendo a gran voce somatostatina e vitamine per curare ogni forma di cancro, addirittura l'Istituto Farmaceutico Militare di Firenze dovette avviare una produzione particolare, per ottenere le grandi quantità di quel principio attivo. Poi ci fu la sperimentazione voluta dall'allora Ministro Bindi, quel metodo non funzionava: ma non servì a chiudere la faccenda, tutt'oggi qualche pretore ancora obbliga le Asl a somministrare la cosiddetta cura Di Bella
Vede, il meccanismo è sempre lo stesso, lo hanno identificato 40 anni fa negli Stati Uniti, perché le bufale e la cattiva informazione in medicina non sono una specialità solo italiana: queste fantomatiche cure nascono quasi sempre da persone che non sono ricercatori o con un curriculum adeguato, come Vannoni di Stamina, che è laureato in psicologia.
La loro mirabolante "cura" non viene pubblicata su nessuna rivista scientifica che abbia prestigio, e peraltro loro neppure cercano questa via: preferiscono parlarne in conferenza stampa, alludendo, ammiccando, lasciando parti coperte da segreto. Ancora: il contorno è sempre l'appello alla "libertà di cura", ma a carico del sistema sanitario nazionale. Con corollario di malati spesso gravissimi che testimoniano di aver sperimentato giovamenti da quelle "cure", che ovviamente nessun esame ufficiale sarà in grado di verificare. Poi ci sono i gruppi di pressione, personaggi più o meno noti in altri campi che fanno da testimonial. Infine, la minaccia di portare all'estero la "scoperta", se continuano le opposizioni e gli attacchi del mondo scientifico. Come vede, niente di nuovo da decine di anni: e se non si prende atto dei propri errori ed anzi ci si scorda di quello che è accaduto solo pochi anni prima, la storia si ripete, sempre uguale, sempre drammatica. Perché queste speculazioni, a volte vere e proprie truffe, si fanno sulla pelle dei malati.

Ma come si può intervenire? Come può riuscire un giornalista a far capire che quelle teorie sono sbagliate -perché lo sostiene la comunità scientifica- senza essere immediatamente tacciato di essersi venduto alle multinazionali del farmaco?
Vede, nella scienza non esiste la par condicio: non è che abbiano lo stesso valore e diritto alla parola chi propone uno studio scientifico e chi sostiene una sciocchezza. Credo intendesse questo Umberto Eco, quando ha detto che internet dà la parola anche ai cretini: il problema è che facendo "informazione scientifica" nei talk show, e chiamando a discettare di argomenti molto tecnici personaggi dello spettacolo o politici che non abbiano una preparazione specifica, il rischio è che prevalgano le opinioni personali invece delle certezze scientifiche. Che quel che resta sia l'immagine della mamma con in braccio il bimbo straziato dalla malattia piuttosto che la disamina della fantomatica cura che si propone. Lei mi chiede cosa fare, come può un giornalista far fronte ad un impatto mediatico del genere: innanzitutto con l'onestà, l'umiltà che sempre deve essere alla base di questo lavoro. Andare a sentire i ricercatori, le università, capire le reazioni di scienziati anche all'estero, e non inseguire il facile scoop attaccati al citofono di casa di chi soffre per mostrarne la disperazione.
E poi il coraggio, assumersi l'onere di questa professione: io ho dovuto affrontare vari processi per aver detto, in alcuni programmi che realizzammo con Giangi Poli, quello che Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco sostenevano sulla omeopatia: una "non cura potenzialmente dannosa", e "pasticci senza alcun valore".
E quando due scienziati di quel calibro si esprimono in modo tanto netto, lei comprende che non possa esserci la par condicio, e che schierandosi si diventa "nemico" di qualcuno: ma se si vuole fare il nostro lavoro con onestà e serietà è un rischio che bisogna correre

C'è un segnale che il telespettatore o il lettore debba saper cogliere in un messaggio, per difendersi dalle bufale?
Difficile, soprattutto quando da una parte c'è gente che ha ragione ma spesso parla con termini tecnici, o dà la sensazione di voler difendere un proprio orticello. Mentre dall'altra ci sono personaggi che stanno proponendo una truffa, e lo sanno, ma sono sempre dei grandi affabulatori, usano i malati come scudi umani, non si fanno scrupoli a strumentalizzare, a ergersi a vittime, a diffamare quella che chiamano medicina ufficiale con disprezzo.
Il fatto è che in molti giornali non esiste una redazione che si occupi solo di sanitá, di salute: quasi sempre è l'inviato di cronaca ad affrontare questi aspetti, ed ovviamente privilegia quello che più gli è familiare, la madre disperata, il malato terminale che chiede la cura miracolosa.