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MONDO

La minaccia dell'Isis

Ramadan: mese di digiuno e di sangue

L'autoproclamato Stato Islamico invita i suoi combattenti a colpire proprio durante il mese sacro. Così in questo periodo nel mondo si assiste all'intensificarsi degli attentati terroristici

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C’è un apparente incongruenza tra l’idea che il mondo occidentale ha del Ramadan, il mese sacro dell’Islam in cui i fedeli praticano il tradizionale digiuno, e l’intensificazione di attentati terroristici a cui si assiste proprio in questo periodo. Ma non è una casualità l’esplosione dell’autobomba che questa mattina ha provocato la morte di almeno 90 persone nel centro di Kabul. Così come la morte dei pellegrini freddati in Egitto pochi giorni fa. E tantomeno è stata una casualità l’esplosione di ieri davanti a una gelateria di Baghdad, che ha colpito i fedeli proprio dopo il tramonto, nel momento di interruzione del digiuno quotidiano, uccidendone 30.

L'appello dei jihadisti 
Proprio mentre i leader del G7 firmavano una dichiarazione contro il terrorismo lo scorso 26 maggio e mentre la Casa Bianca in una nota augurava un “gioioso Ramadan” ai musulmani di tutto il mondo, l’autoproclamato Stato Islamico lanciava tramite Youtube un appello ai suoi seguaci perché colpissero gli infedeli durante il mese sacro.
 
Cos'è il Ramadan
E’ uno dei pilastri dell’Islam, nonché il nono mese del suo calendario lunare, lungo 29 o 30 giorni. Durante questo periodo i fedeli sono tenuti a rispettare cinque doveri, uno dei quali è il digiuno diurno. In questi giorni viene intensificata anche l’attività di preghiera e di meditazione, con la lettura integrale del Corano e particolari forme di preghiera in moschea. E’ un momento di autodisciplina e di purificazione spirituale. 

L'interpretazione dell'Isis
Per i musulmani jihadisti assume un significato opposto. Combattere il nemico durante il mese sacro è persino consigliato, perché in questo periodo dell’anno la misericordia di Allah si manifesta più che in qualsiasi altro momento e il dovere di onorare il suo nome è ancora più forte.
 
Il filo rosso che lega le stragi
2015. A due settimane dall’inizio del mese sacro l’allora portavoce dello Stato Islamico Abu Muhammad al Adnani annuncia ai suoi seguaci: “Preparatevi , tenetevi pronti a rendere il Ramadan un mese di calamità per gli infedeli”, invocando esplicitamente attacchi terroristici anche in Occidente. Il 26 giugno un attentatore kamikaze si fa saltare in aria all’interno di una moschea sciita in Kuwait durante la preghiera del venerdì, gridando “Allah è grande”. Muoiono 26 persone. Quasi contemporaneamente a Sousse in Tunisia un commando dell’Isis prende di mira il Marhaba Imperial Resort sparando sulla folla: 38 vittime. 

2016. Il 12 giugno si prepara a segnare una delle peggiori stragi per gli Stati Uniti; come promesso l’Isis colpisce l’Occidente. Il cittadino ventinovenne americano Omar Mateen apre il fuoco in un nightclub di Orlando, frequentato principalmente da omosessuali, uccidendo 49 persone. Nei giorni seguenti alcuni attentatori dell’Isis attaccano villaggi cristiani nel nord del Libano, poi 40 innocenti  perdono la vita in un attacco all’aeroporto turco di Ataturk. Solo due giorni dopo il tragico attacco di Baghdad in cui muoiono 300 persone, fatte esplodere da un camion bomba. E ancora 20 vengono assassinate in un bar del Bangladesh. Il 4 giugno infine, quattro attentatori suicidi colpiscono simultaneamente tre punti dell’Arabia Saudita, fra cui anche la città Santa di Medina, proprio il luogo in cui fu istituita dal Profeta Maometto la “Costituzione di Medina”, che intendeva regolamentare i rapporti pacifici fra i seguaci delle tre “religioni del Libro”.