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SALUTE

Primo Piano

Raramente

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di Gerardo D'Amico
Siamo abituati a dare un’accezione positiva, al raro: rara bellezza, rara generosità, raro gusto. Siamo abituati a considerare le élites gruppi privilegiati, quella degli intellettuali, il club dei super ricchi. Poche persone, da invidiare.

Ma quando c’è di mezzo la malattia, il mondo si capovolge sempre, e concetti e visioni come la vita di chi ne è colpito escono dall’ordinario, dagli schemi: la malattia ha proprio questo potere, di sovvertire. Mettendo tra parentesi certezze, aspettative. Il presente che si nutre solo di speranza.

Sulle malattie rare molto si sta facendo, anche grazie alle molteplici ed agguerrite associazioni di malati, che fanno sentire la propria voce, chiedendo ricerca scientifica, farmaci, terapie. Ed assistenza. Che è forse quella che più manca, ed è un cinico paradosso, perché anche se non se ne conosce la causa, gli effetti di queste malattie sono sotto gli occhi di tutti. Eppure, malgrado sia stato inserito in legge di stabilità, un altro gruppo di 110 malattie rare ancora non figura nei Livelli Essenziali di Assistenza. Serve un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che le associazioni sollecitano per poter avere esenzioni, continuità di cura: veder riconosciuta la dignità della propria malattia.

Raramente, chi è affetto da una di queste 6000 malattie, riesce a vivere una vita da malato normale, accudito come chi si rompe un femore, o abbia una colica renale. O anche qualcosa di più grave, come un tumore. Quasi sempre passano da 5 ai 30 anni, prima di dare un nome alla propria sofferenza. Quasi sempre bisogna spostarsi a caccia del centro specializzato, del medico “che ci capisce”: qualche volta la disperazione è la breccia in cui passano profittatori e truffatori, quelli che promettono impossibili guarigioni con le staminali fatte in casa, protocolli segreti, iniezioni sul lettino del centro estetico. Oppure si va in Albania, o nel sud est asiatico o in Messico, per rincorrere speranze che non possono essere realizzate.

L’assistenza, a questi malati ed alle loro famiglie, sarebbe l’unica cosa veramente fattibile, realizzabile: certo costa, sicuramente impegna molte risorse umane ed attrezzature. Ma chiamarsi Paese civile comporta questi oneri, di cui non bisogna ricordarsi solo il 29 Febbraio, degli anni bisestili.