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SPORT

​Scontri Coppa Italia, Renzi: basta impunità

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"Voglio far passare le elezioni perché è da sciacalli buttarsi su quello che è successo quando c'è un ragazzo che sta male. Non mi interessa prendere voti in questo modo. Se qualcuno lo vuol fare, lo faccia. Io non ci sto. Lascio passare le elezioni, lascio finire il campionato e poi, tra luglio e agosto, pensiamo a come restituire il calcio alle famiglie".

Così in un colloquio con il quotidiano 'La Stampa', il premier Matteo Renzi, dopo quanto successo sabato sera allo stadio Olimpico di Roma alla finale di Coppa Italia. E assicura: "Non ci sono dubbi che questo deve finire. Comporterà la rottura con certi ambienti delle tifoserie organizzate? Vorrà dire che romperemo".

"Sabato sera - dice il premier - allo stadio ci sono andato da babbo, e ora da babbo sento il dovere di far sì che il calcio possa tornare a essere un gioco, e non un'occasione di guerra fra bande". Quanto alle strategie da adottare, "in Inghilterra avevano problemi più grossi di noi, eppure ce l'hanno fatta. Negli Stati Uniti si perde una finale per un punto contestato eppure tutto finisce con una grande festa. Perché non ce la dovremmo fare noi?". "E' necessaria
anche la coercizione" spiegando che "in un Paese civile Genny la carogna, con quella maglietta lì, non sta in curva, sta dentro. Sabato, e troppe altre volte come sabato, abbiamo visto lo stadio come un luogo dell'impunità. Sa qual è stata la cosa forse più sconvolgente? E' stato vedere i giocatori che andavano a parlare con i capi delle tifoserie".

"La cosa che ha colpito di più i miei figli - aggiunge il premier - non è stata il ritardo con cui è cominciata la partita. Sono stati i fischi all'inno nazionale. Ormai da alcuni anni, diciamo con il presidente Ciampi e poi con Napolitano, nelle scuole l'inno nazionale è tornato ad avere un'importanza che ai miei tempi era andata perduta. Per i bambini, l'inno è una cosa sacra, una cosa bella. Me ne rendo conto tutte le volte che vado in visita alle scuole. Per questo sabato sera i bambini sono rimasti amareggiati nel sentire tanta gente che fischiava. Anch'io ero amareggiato. Qualcuno ci ha detto: andiamo via tutti, non si può stare in uno stadio che fischia l'inno della nostra patria. Ma siamo rimasti, perché noi, a quella gente, il calcio non glielo lasciamo".