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MONDO

3.270 i candidati

La Serbia al voto: il nipote del Maresciallo Tito candidato con i socialisti

La situazione attuale in Serbia è definita da Joshka Broz "un vero disastro", e l'obiettivo suo e del suo partito - fondato alla fine del 2010 - è "cercare di far tornare qualcosa dei tempi di Tito, sopratutto per il futuro dei giovani". Le elezioni legislative dovrebbero dare due risultati: la quasi certa riconferma del carismatico premier filo-Ue Aleksandar Vucic e il ritorno sulla scena degli ultranazionalisti filo-russi

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Fra i 3.270 candidati nelle elezioni politiche di domani in Serbia uno in particolare attira la curiosità degli osservatori. E' Josip Joshka Broz, nipote del maresciallo Tito, leader di un minuscolo nuovo Partito comunista serbo, che nel voto anticipato si presenta in alleanza con il Partito socialista (Sps) del ministro degli esteri Ivica
Dacic.

"Ci siamo messi insieme poichè abbiamo gli stessi programmi e gli stessi obiettivi", ha detto Joshka Broz. "Del resto il Partito socialista è scaturito dal Partito comunista", ha aggiunto il discendente del vecchio leader jugoslavo che guida una formazione che raggruppa in gran parte pensionati e nostalgici della vecchia Jugoslavia socialista e del regime del maresciallo Tito. La situazione attuale in Serbia è definita da Joshka Broz "un vero disastro", e l'obiettivo suo e del suo partito - fondato alla fine del 2010 - è "cercare di far tornare qualcosa dei tempi di Tito, sopratutto per il futuro dei giovani".

La Serbia, sottolinea, "deve collaborare con tutti coloro che vogliono il bene del nostro popolo, ma non può accettare condizioni quali il riconoscimento del Kosovo o l'adesione alla Nato. Noi non accettiamo condizioni nè da est nè da ovest". E alla domanda sul perchè, nonostante il passare degli anni, vi siano sempre più persone in visita alla tomba di Tito a Belgrado, il nipote del maresciallo risponde: "Si tratta di una cosa normale. Quando il popolo si impoverisce, quando la gente non ha cosa mangiare si ricorda di chi gli ha assicurato una vita normale e decente".

Joshka Broz - che si è sposato quattro volte e che vive a Belgrado dove possiede due ristoranti, uno dei quali si chiama 'Tito' - non attacca tuttavia in blocco il premier conservatore Aleksandar Vucic, che i sondaggi danno come grande favorito per il voto di domani. "Vucic ha buone idee ed è riuscito a realizzare alcune cose positive - ha detto. Ma il suo grande problema e' la mancanza di gente esperta e qualificata nella sua squadra, e chi lo circonda pensa solo ai propri interessi e alla poltrona".

Tale fairplay nei confronti del premier, secondo gli osservatori, sarebbe dettato dalla prudenza del Partito socialista di Dacic, che mirerebbe a proseguire la coalizione di governo con Vucic anche nella prossima legislatura.

Al voto , tra ambizioni Ue e l'amicizia con Mosca
Le elezioni legislative anticipate di oggi in Serbia dovrebbero dare due risultati: da una parte la quasi certa riconferma del carismatico premier filo-Ue Aleksandar Vucic, dall'altra il ritorno sulla scena politica della Repubblica ex jugoslava degli ultranazionalisti filo-russi.

Dal risultato delle urne dipenderà quindi buona parte del futuro del cammino europeo di Belgrado e del rapporto con l'antico amico russo.

Secondo i sondaggi il partito Sns, del premier Vucic, che attualmente detiene la maggioranza dei 250 seggi del Parlamento, otterrà senza problemi la vittoria, ma nello stesso tempo dal voto potrebbero tornare rinvigoriti i partiti ultranazionalisti, spinti dai recenti verdetti del Tribunale internazionale dell'Aia, tra i quali l'assoluzione del leader nazionalista serbo Vojislav Seselj che è a capo del Partito Radicale, rimasto a bocca asciutta nelle ultime due tornate elettorali.

"Non vogliamo entrare nell'Ue. Ci sono tutti i vecchi nemici della Serbia", ha dichiarato appena un mese fa Seselj, dopo essere tornato in libertà, accusando anche la Nato per i bombardamenti durante la guerra del Kosovo. Seselj ha bruciato in pubblico le bandiere dell'Ue e della Nato e ha chiesto un forte riavvicinamento con la Russia per superare la crisi economica del Paese, uno tra i più poveri d'Europa.

Vucic, ex ultranazionalista diventato fervente sostenitore del cammino europeo di Belgrado, che non ha mai fatto segreto del suo passato e della sua vicinanza sia a Seselj che a Milosevic, ha però chiesto agli elettori di "pensare se vogliono una Serbia stabile e sicura o il ritorno all'incertezza".

Secondo i sondaggi, i Radicali insieme ad altri gruppi filo-russi potrebbero ottenere tra il 10 e il 15%, mentre i Progressisti di Vucic circa il 50%. Al secondo posto, ma molto distanziata la coalizione Socialista. Si vota con il sistema proporzionale, se nessuno dei partiti ottiene la maggioranza è necessario formare una coalizione di governo.

Le elezioni di oggi, il terzo voto in quattro anni, sono state definite dai commentatori più critici come il tentativo di Vucic di rafforzare il suo potere, ma il premier ha sottolineato che è necessario un mandato forte per portare avanti e completare le riforme necessarie per l'adesione all'Ue. La Serbia ha avviato i negoziato con Bruxelles a dicembre. "Queste elezioni saranno un referendum su quanto la Serbia voglia essere un Paese moderno ed Europeo entro il 2020", ha insistito Vucic.

Il premier dovrà fare attenzione nel suo cammino verso l'adesione al rapporto, rimasto sempre forte, con Mosca. Secondo un sondaggio pubblicato dal magazine Vreme il 67,2% dei serbi è favorevole a un'alleanza con Mosca, mentre soltanto il 50,9% vede di buon occhio l'adesione all'Ue.

L'affinità della Serbia con la Russia è evidente e Mosca negli anni ha creato un'immagine più positiva di quella di Bruxelles nel Paese grazie a un'attenta strategia di comunicazione, secondo lo specialista di Europa sudorientale Jaroslaw Wisniewski. "In poche parole, l'immagine è quella di una Russia che mostra 'rispetto', mentre l'Occidente è più concentrato nel fare richieste e chiedere riforme impopolari", ha scritto Wisniewski recentemente in un blog della London School of Economics.

Inoltre, per nulla secondario, Mosca, come Belgrado, non riconosce l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia, e di conseguenza le ambizioni di Pristina di accedere all'Unesco.

Oltre a Ue e Russia, centrali per gli elettori saranno le "promesse" dei partiti per risollevare l'economia del Paese, basata sull'industria, sull'agricoltura e sui servizi, ma gravemente colpita dalle sanzioni internazionali imposte per il ruolo nella guerra della ex Yugoslavia negli anni Novanta.

Negli ultimi anni l'economia di Belgrado è ciclicamente entrate uscita dalla recessione, crescendo meno dell'1% nel 2015. La disoccupazione è al 20% e il salario medio si attesta a circa 360 euro al mese. Il debito pubblico è pari al 73,6% del Pil. La Serbia deve ancora implementare una parte delle disposizioni dell'accordo con il Fondo Monetario Internazionale per il prestito da 1,2 miliardi di euro che prevendono la ristrutturazione del settore pubblico, che impiega ancora oggi 700mila dipendenti su sette milioni di serbi e vendere le compagnie statali inefficienti.