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ITALIA

Nel 1975 il triplice omicidio a Napoli

Strage di via Caravaggio, ovvero il delitto perfetto: il colpevole non può essere arrestato

Il dna di Domenico Zarrelli trovato su asciugami e mozziconi rinvenuti sul luogo del delitto, ma lui non può essere processato perché è già stato assolto per lo stesso delitto

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Le tre vittime della furia omicida
Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1975 a Napoli, nel quartiere di Fuorigrotta, un’intera famiglia venne massacrata. Padre, madre e la giovane figlia diciannovenne vennero uccisi, colpiti con un oggetto contundente alla testa e poi sgozzati. Nella sua furia, l’omicida, non risparmiò nemmeno il cagnolino della famiglia.
 
Le tre vittime furono ritrovate solo otto giorni dopo il delitto, quando i vigili del fuoco entrarono nell’appartamento, chiamati dalla polizia cui si erano rivolti alcuni parenti dei Santangelo, e trovarono marito e moglie messi uno sull’altro nella vasca da bagno. Il cadavere di Angela, la figlia, era invece avvolto in una coperta e steso sul letto. Del cagnolino all’inizio nessuno si accorse. I suoi resti furono notati dopo ulteriori sopralluoghi, anche loro buttati nella vasca da bagno.
  
Oggi, a quasi quarant’anni di distanza dai fatti, il colpevole ha, o forse sarebbe più corretto dire avrebbe, un nome e un cognome grazie alle nuove tecniche di investigazione che hanno permesso di rilevare il suo dna su alcuni oggetti ritrovati all'epoca dei fatti nell’appartamento. Ma quell’uomo è già stato processato per il delitto di via Caravaggio, ed assolto in via definitiva.
 
Per questo, in virtù del principio giuridico del "ne bis in idem", quel principio per cui non si può essere processati due volte per lo stesso delitto, il colpevole non sarà mai tale per sentenza e soprattutto non pagherà per il crimine commesso. Nonostante si abbia la praticamente totale certezza della sua responsabilità.
 
L’uomo in questione, che alla luce di questi fatti si può considerare l’autore del delitto perfetto, risponde al nome di Domenico Zarrelli, nipote della donna uccisa nel ’75 e da subito finito nel mirino degli investigatori.  Di Zarrelli, appartenente a una famiglia di professionisti napoletani, si parlò come di un tipo violento e alla continua ricerca di denaro. Contro di lui la testimonianza di una persona che riferì agli inquirenti di averlo visto percorrere via Caravaggio alla guida dell’auto di Domenico Santangelo proprio la notte del delitto, e i presunti rapporti conflittuali con la zia, che in casa aveva copia di una denuncia nei suoi confronti redatta ma mai depositata. Quando fu fermato, Zarrelli aveva anche alcune ferite alle mani: lui disse di essere caduto qualche giorno prima mentre spingeva la sua auto rimasta in panne in una strada del centro.

Gli elementi raccolti nei suoi confronti lo portarono fino al processo e alla condanna all’ergastolo, in primo grado. In appello però Zarrelli fu assolto, la Cassazione in un primo momento annullò la sentenza e il processo si rifece, ma fu spostato da Napoli a Potenza, dove l’imputato venne nuovamente assolto. E quella volta la Cassazione confermò, dando all’assoluzione carattere di sentenza definitiva e mettendo, almeno per Zarelli, la parola fine sulla questione.
 
Zarrelli, che durante la detenzione portò a termine gli studi di Giurisprudenza, tornò quindi in libertà e scelse, come professione, quella dell’avvocato penalista, riuscendo anche a farsi risarcire dallo Stato per ingiusta detenzione.
 
Grazie ad una segnalazione anonima, e alla struttura dedicata ai crimini irrisolti voluta dall’ex capo della Polizia Antonio Manganelli, il procuratore aggiunto Giovanni Melillo riaprì il caso nel 2012. E grazie alle nuove tecniche d’indagine a disposizione degli investigatori, il dna di Zarrelli venne individuato su alcuni mozziconi di sigarette e su un canovaccio che all’epoca dei fatti furono trovati nell’appartamento. Svelando, di fatto, il nome dell’assassino. Nonostante questo però per Zarrelli non potrà ora che essere chiesta l’archiviazione.