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ITALIA

Depositate motivazioni sentenza

Strage via d'Amelio. Giudici: tra più gravi depistaggi storia Italia, sotto accusa investigatori

"Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" con protagonisti uomini dello istituzioni: così la Corte di assise di Caltanissetta sulla strage di via d'Amelio. Intanto, chiesto processo per tre poliziotti

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Che sarebbe stata una sentenza importante lo si era compreso dalla complessità del dispositivo che, il 20 aprile del 2017, condannò all'ergastolo per strage Salvino Madonia e Vittorio Tutino e a 10 anni per calunnia Francesco Andriotta e Calogero Pulci, finti collaboratori di giustizia usati per mettere su una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata l'ergastolo a sette innocenti. Per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di rocambolesche ritrattazioni nel corso di vent'anni di processi, i giudici dichiararono la prescrizione concedendogli l'attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri.   

Ed è a questi "altri" che la corte si riferisce nelle motivazioni della sentenza. A quegli investigatori mossi da "un proposito criminoso", a chi "esercitò in modo distorto i poteri". La corte d'assise di Caltanissetta, dunque, usa parole durissime verso chi condusse le indagini: il riferimento è al gruppo che indagava sulle stragi del '92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia poi morto. Sarebbero stati loro a indirizzare l'inchiesta e a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell'attentato. Sarebbero stati loro a compiere "una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell'agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte".   

Ma quali erano le finalità di uno dei più clamoroso depistaggi della storia giudiziaria del Paese? si chiedono i giudici. La corte tenta di avanzare delle ipotesi: come la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, "che viene evidenziata - scrivono i magistrati - dalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee al loro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà", e, sospetto ancor più inquietante, "l'occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l'opera del magistrato".   

I magistrati dedicano, poi, parte della motivazione all'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, il diario che il magistrato custodiva nella borsa, sparito dal luogo dell'attentato. La Barbera, secondo la corte, ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre".   

La Barbera è morto, l'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa è stata archiviata, ma a Caltanissetta, forze a maggior ragione dopo questa sentenza, si continuerà a indagare. Non si sono accontentati delle verità ormai passate in giudicato i pm della Procura Stefano Luciani e Gabriele Paci che, anche grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini sulla strage scoprendo il depistaggio. E una nuova inchiesta è già in fase avanzata e riguarda i poliziotti che facevano parte del pool di La Barbera.

Chiesto processo per tre poliziotti
Intanto, la Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio di tre poliziotti per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio. L'udienza preliminare non è stata ancora fissata. Il processo è stato chiesto per il funzionario Mario Bo, che è stato già indagato per gli stessi fatti e che ha poi ottenuto l'archiviazione, e per i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Per tutti l'accusa è di calunnia in concorso.

Mario Bo è il funzionario di polizia che faceva parte del pool che coordinò le indagini sulla strage del 19 luglio del 1992. Mattei e Ribaudo, agenti di ps, facevano parte dello stesso gruppo investigativo. Avrebbero confezionato una verità di comodo sulla fase preparatoria dell'attentato e costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a fare nomi e cognomi di persone innocenti. 

Un piano con un regista ormai morto: l'ex capo della task force investigativa Arnaldo La Barbera, comprimari come Bo ed "esecutori" come Ribaudo e Mattei.

Il depistaggio, scoperto dalla procura di Caltanissetta che ha ricostruito la fase preparatoria dell'attentato a Borsellino, è costato la condanna all'ergastolo a sette innocenti scagionati, una volta smascherate le menzogne, dal processo di revisione che si e' celebrato a Catania. Del ruolo di La Barbera nel depistaggio parlano diffusamente le motivazioni della sentenza del quarto processo per la strage,depositate ieri. L'inchiesta sui tre poliziotti è coordinata dall'aggiunto Gabriele Paci e dal pm Stefano Luciani.