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ITALIA

L'operazione all'alba in Lombardia

Terrorismo: la base militare di Ghedi nel mirino dei 2 sostenitori dell'Isis arrestati a Brescia

Si tratta di un tunisino e un pakistano. Avevano creato un account twitter 'Islamic_State in Rom' e progettavano attentati. Sulla piattaforma messaggi minacciosi e sullo sfondo i luoghi simbolo di Roma e Milano. Alfano: "Nostro sistema prevenzione funziona"

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Base di Ghedi (La Presse)
Non era solo propaganda pro Isis. Dalle indagini emerge che i due presunti terroristi arrestati a Brescia - un tunisino di 35 anni e un pakistano di 27 - parlavano tra loro della possibilità di colpire la base militare di Ghedi, nel bresciano. Nelle intercettazioni, spiega il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli, i due facevano riferimento a più obiettivi, "anche se non c'è mai stato un inizio di passaggio all'azione". Pensavano anche di addestrarsi militarmente "in territorio
siriano" perché "consapevoli di non avere un addestramento militare consolidato". Avevano anche scaricato dalla rete un manuale per i 'mujahidin occidentali'. 

Oltre alla base di Ghedi, i due nelle conversazioni - in italiano - parlavano anche di colpire le forze dell'ordine, ma in modo generico, oppure la società per la quale lavorava il cittadino tunisino.  I reati contestati sono associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell'ordine democratico.

Alfano: nostro sistema prevenzione funziona
"Abbiamo centrato un altro risultato positivo. Anche questa stamattina si dimostra che il nostro sistema di prevenzione funziona. I due arresti di stamattina sono un'ulteriore prova che il monitoraggio del web consente un'azione di prevenzione molto efficace" ha detto il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, sull'operazione antiterrorismo di questa mattina. 

Il testo dei messaggi online
Avevano creato l'account twitter 'Islamic_State in Rom' da cui postavano messaggi associati a immagini di luoghi di Roma e Milano. Gli inquirenti hanno citato minacce come: "Siamo nelle vostre strade. Siamo ovunque. Stiamo localizzando gli obiettivi, in attesa dell'ora X"  o ancora  "O popolo di Roma, avete tre soluzioni, o accettare l'Islam o pagare Jezia o i nostri coltelli (Jihad), a voi la scelta!".

I messaggi, firmati Islamic State, erano scritti in italiano, arabo e francese, su foglietti tenuti in mano e, sullo sfondo, luoghi simbolo come il Colosseo, il Duomo o la stazione di Milano. Immortalati anche mezzi della Polizia di Stato e della Polizia locale, fermate della metropolitana, tratti autostradali e bandiere dell'Expo. 

In un caso, sotto la scritta 'Islamic State in Rome' appare anche il nome di Omar Moktar. Si tratta di un leader di Al Qaeda, ma anche del cosiddetto 'Leone del Deserto', il famoso eroe nazionale libico che condusse negli anni '20 la guerriglia anticoloniale contro gli italiani. 

Anche selfie nei luoghi simbolo di Roma e Milano
Nel corso della conferenza stampa in Questura a Milano, sono stati mostrati alcuni dei "selfie" che i presunti terroristi avrebbero scattato davanti al Duomo di Milano, il Colosseo a Roma, Expo e alla Stazione centrale di Milano, accompagnandoli con bigliettini minatori. In uno di questi, come ricostruito dagli investigatori, era stato scritto un giuramento di fedeltà al Califfo dello Stato islamico al Baghdadi. "Dichiariamo la Bay'a al Califfo", era scritto nel biglietto.

Gli arrestati parlavano italiano
Il pakistano e il tunisino parlavano tra loro in italiano, non avendo un'altra lingua comune in cui esprimersi. I due avevano i documenti in regola e vivevano in Italia da anni e in particolare nel Bresciano, a Manerbio. Uno dei due risulta residente a Milano ma è domiciliato nella cittadina in provincia di Brescia. Le foto con messaggi minacciosi a firma 'Islamic State' sullo sfondo di alcuni luoghi-simbolo italiani, a Roma e Milano, che i due avrebbero fatto circolare su un profilo twitter, erano già emerse circa tre mesi fa, a fine aprile. Lavoravano da anni in Italia, come operaio e manovale e l'altro nel settore delle pulizie.

L'indagine scattata ad aprile 2015
L'indagine - coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dal pm Enrico Pavone - è stata molto rapida. È scattata circa tre mesi fa dopo le prime segnalazioni della Polizia postale su quei messaggi minatori online. Il 26 aprile scorso, infatti, avevano iniziato a circolare sul web foto con testi minatori e di propaganda jihadista il cui messaggio, in sostanza, era "siamo nelle vostre strade", ossia si sosteneva che l'Isis era arrivato anche a Roma e Milano.