SPETTACOLO
Thelonious Monk e la baronessa che si innamorò ascoltando 'Round Midnight
Thelonious Monk e la baronessa Pannonica de Koenigswarter. Un’amicizia che ci ha regalato un perfetto gioiello di pianismo monkiano; brevi semplici frasi, leggermente diverse l’una dall’altra – il brano Pannonica; e raccontata nella biografia Nica’s Dream. Oltre che nel libro, poi film, della pronipote Hannah Rothschild, The Baroness.
Thelonious Monk e la baronessa Pannonica de Koenigswarter. Un’amicizia che ci ha regalato un perfetto gioiello di pianismo monkiano; brevi semplici frasi, leggermente diverse l’una dall’altra – il brano Pannonica, e che è raccontata nella biografia Nica’s Dream (ne parla il TLS).
Rampolla di un Rothschild, il suo nome era quello di una falena; niente di più azzeccato per la futura animatrice delle notti newyorkesi con il generoso sostegno a molti jazzisti (come Charlie Parker che, malato, riparò a casa sua e morì tre giorni dopo, accendendo la morbosità dei giornali: Bop King Dies in Heiress’s Flat). Pannonica era un’eccentrica comme il faut. A diciotto anni guidava auto veloci, a ventuno il suo aereo personale. Sposata a un altro barone, francese, con la Seconda guerra mondiale lascia Parigi e alterna periodi in varie parti del mondo, dall’Africa a Mexico City. Finché un giorno, di passaggio a New York, ascolta un pianista jazz che esegue 'Round Midnight di Thelonious Monk’s. E questo cambia la sua vita.
A Monk Pannonica fece un grande regalo. Nel 1957 fu grazie a lei che rinacque dopo una pausa di sei anni a causa di un affare di droga: rientrò in possesso della cabaret card e accettò un ingaggio nel piccolo locale Five Spot, nel Greenwich Village. Per diversi mesi Monk suonò lì con il suo quartetto – del quale faceva parte un John Coltrane sempre più al centro dell’attenzione del mondo jazzistico – e per molti fu l’occasione di farsi conoscere dal vivo.
Un contesto ideale per far fiorire e apprezzare lo stile monkiano, «in quelle sue costruzioni sonore dalle prospettive sghembe, eppure miracolosamente equilibrate, in quella sua musica buia in cui le dissonanze balenano e deflagrano come fuochi d’artificio», scrive Arrigo Polillo nella storia del jazz. «Incontrando l’uomo, ascoltando la sua musica, vien fatto di pensare a una sorta di Henri Rousseau del jazz». Perché le dissonanze di Monk – «un uomo senza speranze e senza sorrisi» – dopotutto «sono ‘estranee’, assurde, offensive, infantili – e incantevoli! – come i leoni e le verdissime piante tropicali che campeggiano nelle tele del Doganiere, e forse significano le stesse cose». La storia della prozia ribelle è stata raccontata da Hannah Rothschild in The Baroness, e nel fil film The Jazz Baroness.
Rampolla di un Rothschild, il suo nome era quello di una falena; niente di più azzeccato per la futura animatrice delle notti newyorkesi con il generoso sostegno a molti jazzisti (come Charlie Parker che, malato, riparò a casa sua e morì tre giorni dopo, accendendo la morbosità dei giornali: Bop King Dies in Heiress’s Flat). Pannonica era un’eccentrica comme il faut. A diciotto anni guidava auto veloci, a ventuno il suo aereo personale. Sposata a un altro barone, francese, con la Seconda guerra mondiale lascia Parigi e alterna periodi in varie parti del mondo, dall’Africa a Mexico City. Finché un giorno, di passaggio a New York, ascolta un pianista jazz che esegue 'Round Midnight di Thelonious Monk’s. E questo cambia la sua vita.
A Monk Pannonica fece un grande regalo. Nel 1957 fu grazie a lei che rinacque dopo una pausa di sei anni a causa di un affare di droga: rientrò in possesso della cabaret card e accettò un ingaggio nel piccolo locale Five Spot, nel Greenwich Village. Per diversi mesi Monk suonò lì con il suo quartetto – del quale faceva parte un John Coltrane sempre più al centro dell’attenzione del mondo jazzistico – e per molti fu l’occasione di farsi conoscere dal vivo.
Un contesto ideale per far fiorire e apprezzare lo stile monkiano, «in quelle sue costruzioni sonore dalle prospettive sghembe, eppure miracolosamente equilibrate, in quella sua musica buia in cui le dissonanze balenano e deflagrano come fuochi d’artificio», scrive Arrigo Polillo nella storia del jazz. «Incontrando l’uomo, ascoltando la sua musica, vien fatto di pensare a una sorta di Henri Rousseau del jazz». Perché le dissonanze di Monk – «un uomo senza speranze e senza sorrisi» – dopotutto «sono ‘estranee’, assurde, offensive, infantili – e incantevoli! – come i leoni e le verdissime piante tropicali che campeggiano nelle tele del Doganiere, e forse significano le stesse cose». La storia della prozia ribelle è stata raccontata da Hannah Rothschild in The Baroness, e nel fil film The Jazz Baroness.