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ITALIA

7 operai uccisi

Thyssenkrupp, tragedia 12 anni fa. Rabbia parenti per giustizia negata

I familiari delle vittime chiedono la galera per i manager tedeschi. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, 'Proseguo battaglia'

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di Tiziana Di Giovannandrea
A 12 anni dalla tragedia che causò la morte dei sette operai nel rogo della Thyssenkrupp di Torino, riesplode la rabbia dei parenti di Rosario Rodinò, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo e Giuseppe Demasi uccisi in modo orribile dalle fiamme che si svilupparono dalla linea 5 e che devastò lo stabilimento. 

La sentenza di condanna, su cui si è pronunciata anche la Corte di Cassazione nel 2016, è da tempo eseguibile anche in Germania, ma i manager tedeschi condannati per il rogo della Thyssenkrupp sono ancora in libertà.

Lo scorso 14 novembre anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è mossa avviando un procedimento contro l'Italia e la Germania per capire come mai i responsabili tedeschi siano ancora liberi.

Ecco quindi che, nel giorno della ricorrenza di una delle più terrificanti ed atroci tragedie sul lavoro accadute in Italia, il 6 dicembre 2007, la voce dei congiunti delle vittime si alza forte mostrando tutta la loro delusione e la loro rabbia per una situazione che definire inammissibile è poco.

"Aspettare tutto questo tempo per avere giustizia è disumano", dice con le lacrime agli occhi Laura Rodinò, davanti alla tomba del fratello Rosario al cimitero monumentale di Torino. "Finalmente siamo alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo - sottolinea - Speriamo che i maledetti tedeschi assassini siano buttati in galera. E vogliamo sapere anche perché gli assassini italiani siano già fuori...".

Ad esprimere tutta la sua solidarietà ai parenti delle vittime è il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: "La tragedia avvenuta allo stabilimento ThyssenKrupp di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 rappresenta una ferita ancora aperta che non si rimarginerà mai. Le loro famiglie non hanno mai smesso di rivendicare il loro diritto ad ottenere giustizia, pur sapendo che qualsiasi sentenza non riuscirà mai a lenire il loro infinito dolore". Il Guardasigilli poi annuncia: "Proseguirò in questa battaglia perché nessuno Stato, nessuna democrazia, deve mai dimenticare ogni cittadino che ha visto violato un proprio diritto, a maggior ragione se si tratta del diritto alla vita".

Rosario Rodinò aveva 26 anni la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando sulla linea 5 si sviluppò l'incendio che gli costò la vita. Le fiamme uccisero anche Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo e Giuseppe Demasi.

Per quella che è passata alla storia come una delle più raccapriccianti catastrofi sul lavoro degli ultimi tempi, la Cassazione ha condannato Cosimo Cafueri (6 anni e 8 mesi), Marco Pucci (6 anni e 10 mesi), Daniele Moroni (7 anni e 6 mesi) e Raffaele Salerno (7 anni e 2 mesi).
Condannati anche Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz rispettivamente a 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi.

I dirigenti italiani dello stabilimento hanno cominciato il periodo di carcere nel 2016, ottenendo poi i servizi sociali mentre i manager tedeschi non hanno trascorso neppure un giorno in prigione.

"Sono trascorsi 12 lunghi anni e siamo ancora qui, questo è il nostro quotidiano, che ci vede purtroppo in una condizione immutata, con le porte del carcere che si sono aperte per far uscire invece che entrare i colpevoli - afferma Rosina Demasi, la madre di Giuseppe - Vogliamo ancora crede nella giustizia, perché in un Paese civile chi sbaglia paga. Dobbiamo pensare che il nostro Paese abbia perso questo senso di civiltà", aggiunge.

Chiara Appendino, sindaca di Torino, presente alla cerimonia con gli assessori regionali Elena Chiorino e Andrea Tronzano, il prefetto Claudio Palomba e Paola Dezzani, giudice a latere del primo processo Thyssen, abbraccia in senso di solidarietà la signora Demasi. "Oggi il diritto alla giustizia è ancora negato - dice la prima cittadina di Torino- e questo è inaccettabile".