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MONDO

L'analisi

La strage dell'11 settembre: non sappiamo ancora tutto

In questi giorni nel carcere speciale di Guantanamo, nella parte di Cuba controllata dagli Stati Uniti, inizia l’ennesima delle infinite udienze preliminari a cinque imputati 

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di Antonio Di Bella

  Terry Strada è una donna ostinata. Suo marito, Tom, è morto nell'attentato dell’11 settembre a New York. Da allora Terry è stata una delle voci più insistenti dei familiari, che invocano più trasparenza sull'inchiesta per fare piena luce sulla strage.

Una strage le cui responsabilità sono ancora avvolte nel mistero. In questi giorni nel carcere speciale di Guantanamo, nella parte di Cuba controllata dagli Stati Uniti, inizia l’ennesima delle infinite udienze preliminari a 5 imputati della strage. Accusato numero uno Khalid Sheik Mohamed. Nato in Pakistan, cresciuto in Kuwait e arrestato a Rawalpindi, ha confessato di aver suggerito lui a Osama bin Laden l’idea di fare schiantare due aerei contro le Torri gemelle. Ma la sua confessione è frutto di 15 anni di torture (waterboarding) e la sua affidabilità è contestata dalla difesa.

In aula, per la prima volta ci sono alcuni dei familiari delle vittime. La loro non è solo l’attesa per la sentenza, ma la speranza che emerga qualche fatto nuovo sulle eventuali complicità internazionali degli attentatori.  Khalid Shiek Mohamed, per evitare la condanna a morte, potrebbe confessare che il governo dell'Arabia Saudita è stato complice di tutta l’operazione. Tesi sempre sconfessata dall'indagine ufficiale, ma sempre sostenuta al contrario da Terry Strada e da molti familiari delle vittime.  Quel che è certo è che a vent’anni di distanza su quella strage non sappiamo ancora tutto.