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USA2020

Verso le presidenziali

Usa2020, Tocci: "Trump o Biden? Per noi europei significa avere o no un alleato"

"Trump ci ha considerato, come europei, quasi più nemici di Putin o Xi. Con Biden riavremmo un partner, qualcuno sull’altra sponda del lago" spiega Nathalie Tocci, direttore dell'Istituto Affari internazionali

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di Elisabetta Marinelli

L'attenzione alle presidenziali Usa non è mai stata così alta, tanto a livello interno quanto a livello internazionale. Giocano un ruolo importante il personaggio Trump e le sue teorie del complotto; l'emergenza globale legata alla pandemia di coronavirus e il nuovo bipolarismo che vede un confronto Stati Uniti-Cina, caratterizzato dalla politica muscolare del presidente Usa. Cosa accadrà se Donald Trump avrà un secondo mandato alla Casa Bianca? Cosa invece cambierà se vincerà Joe Biden? Ne abbiamo parlato con Nathalie Tocci, direttore dello IAI (Istituto Affari internazionali). 

Le presidenziali Usa 2020 hanno già stabilito un record assoluto in termini di partecipazione al voto, perché? Cosa è cambiato?
A prescindere da chi vincerà le elezioni quello che pare essere in gioco questa volta in modo molto serio è la tenuta stessa del tessuto democratico. Magari andrà tutto bene, ma il fatto stesso che c’è il sospetto, la paura che l’attuale presidente degli Stati Uniti non riconoscerà il risultato delle elezioni, dà il senso di una fragilità estrema di un sistema democratico in un paese che abbiamo sempre considerato il leader democratico nel mondo. La messa in discussione di questo sistema spiega l’attenzione così alta cui stiamo assistendo e spiega la grande mobilitazione sul voto.  E’ come assicurarsi una vittoria sufficientemente netta che non dia adito a contestazioni.

Poi c'è il personaggio stesso: mentre nel 2016 le tante esternazioni di Trump lasciavano aperto l’interrogativo “come si comporterà da presidente”, questa volta, dopo 4 anni di mandato, sappiamo che Trump si comporterà esattamente allo stesso modo, un modo che non è particolarmente presidenziale. Questo aspetto lo ha spiegato bene Obama la settimana scorsa, durante un comizio pro Biden in Pennsylvania: il fatto, per esempio, che un presidente dia adito a varie teorie del complotto è una cosa che potrebbe fare lo zio matto, non il presidente degli Stati Uniti. Stiamo parlando di una persona che si è rivelata essere, durante la presidenza stessa, al di fuori di ogni canone ragionevole di una liberal democrazia. Ma concretamente che cosa ha fatto? La verità è che non è riuscito a fare granché e probabilmente sarebbe così anche in un secondo mandato. Ha parlato tanto: la Nato è morta, ma intanto gli Stati Uniti continuano a esserne il più grande alleato; piegherò l’Iran, ma l’Iran è sempre là.

Una cosa è certa, Trump ha reso il mondo più pericoloso: Teheran, oggi, è infinitamente più pericolosa di 4 anni fa perché gli Usa hanno scelto di uscire dall’accordo nucleare. E’ vero che l’accordo sul clima è stato indebolito dall’uscita degli Usa, è vero che il sistema delle Nazioni Unite è stato indebolito dall’uscita Usa dall’Unesco. Diciamo che possiamo parlare di un potere distruttivo alto a fronte di un potere costruttivo limitato. Possiamo prevedere che Trump continuerà così, accelerando il declino relativo degli Usa, un declino che comunque non cambierebbe con Biden.

Cosa accade se vince Trump, cosa accade se vince Biden?
Per noi europei è avere o non avere un alleato reale. Trump ci ha considerato come europei quasi più nemici della Russia di Putin o della Cina di Xi, l’Unione europea in quanto tale come nemico pubblico numero 1. Con Biden riavremmo un partner, un alleato, qualcuno dall’altra sponda del lago.

Non cambia, invece, il relativo arretramento degli Stati Uniti dal mondo. Questo è un qualcosa che in realtà esisteva già prima di Trump, già durante l’amministrazione Obama. Stiamo attraversando una fase storica che ha cause strutturali, non possiamo ridurla a un individuo anche se costui è il presidente degli Usa. Stiamo assistendo alla fine dell’imperialismo americano, lo vediamo in questo istinto nel ritirarsi dagli affari del mondo, questa volontà di non fare il poliziotto del mondo che già aveva manifestato Obama. La crescente attenzione all’Asia era già di Obama, fermato dalla primavera araba e dall’annessione della Crimea. Ma la Cina, è evidente, rappresenta la grande sfida strategica del XXI secolo degli Usa. Lo sapeva Obama, lo sa Trump e lo sa anche Biden. Quindi arretramento e priorità Cina rimarranno invariati.

Quello che cambia è il modo di perseguire questi obiettivi. Nel caso di Trump è un “me ne frego del resto del mondo e faccio quello che mi pare”, semplicemente ignorando alcune problematiche;  oppure, comportarmi in maniera coercitiva, vedi l’utilizzo delle sanzioni secondarie anche a costo di rompere alleanze e indebolire istituzioni. Biden, a sua volta, sa che non è più il poliziotto del mondo, sa che sta attraversando una fase di fine dell’egemonia statunitense; ma tiene all’ordine internazionale liberale e, quindi, vuole redistribuire le responsabilità agli alleati Usa. Per farlo, deve essere disposto a dare reale partnership, un reale impegno al multilateralismo prima di poter chiedere, diciamo deve dare vita a un contratto sociale più equo. Sicuramente Trump legge la realtà attraverso la lente dell’economia anche quando si tratta di sicurezza e di difesa…

Viene in mente il corposo contratto di fornitura di armi a Riad a inizio mandato…
Esatto. Questo è l’approccio. Poi però vai a vedere nel dettaglio e ti chiedi: questo accordo è stato portato avanti? La risposta è ‘no’. Questi armamenti in Arabia Saudita non sono arrivati. Guardiamo la Corea del Nord: abbiamo visto le foto di Trump in Corea, ma alla fine è riuscito a fare qualcosa? La risposta è ancora ‘no’. Restano solo l’ego e il narcisismo patologico di quest’uomo. Colpisce più quello che non ha fatto di quello che ha fatto.
 
Punti di forza per il presidente Usa sono l'alleanza con la Gran Bretagna di Boris Johnson e i contraccolpi dei sovranisti europei. Su chi può contare Biden?
Trump in realtà non ha tanti agganci. In Europa può contare sull'ungherese  Orbán e su Babiš (quest’ultimo varrebbe anche per Biden), forse anche sul premier polacco, Morawiecki. Quanto al Regno Unito, fuori dall’Unione europea ha un disperato bisogno degli Stati Uniti, dunque diciamo che un presidente vale un altro. Ci può essere una affinità fra Trump e Johnson, ma c’è una questione più profonda alla base, che ha a che fare con la fase post Brexit. In realtà, Trump può contare essenzialmente su Putin e Xi, sono questi i leader mondiali che preferirebbero la sua vittoria. Forse anche Erdogan, ma perché c’è un trascorso poco felice tra Erdogan e Biden ai tempi in cui quest’ultimo era vicepresidente Usa, non ha funzionato qualcosa di personale. E gli Emirati, che hanno sottoscritto l’accordo di normalizzazione dei rapporti con Israele (gli Accordi di Abramo, ndr) per assicurarsi che laddove dovesse vincere Biden il canale rimarrebbe aperto.  Si sono messi al sicuro, del resto chi può essere contro la normalizzazione? Senza entrare nel dettaglio a vedere come i palestinesi alla fine siano rimasti fregati, vediamo due paesi che normalizzano i rapporti e non può che essere una buona cosa.

 
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Sicuramente la rielezione di Trump accelererebbe il declino Usa, come abbiamo già detto, e un consolidamento di un nuovo assetto bipolare di confronto Stati Uniti-Cina. Intorno a questi due poli ci sarebbero altre potenze, che verrebbero, però, più attratte da una parte o dall’altra. Vedremmo ancora un Trump solo contro tutti. In caso di vittoria di Biden, sarebbe comunque difficile arrestare questo relativo declino, perché siamo di fronte a danni irreversibili. Abbiamo citato a esempio l’accordo nucleare iraniano, ebbene Biden ha dichiarato di voler rientrare, ma è assai difficile.
 
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