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ITALIA

Il caso

Perseguitata da un video hard finito in rete si toglie la vita con un foulard

La scelta estrema di una giovane donna che da oltre un anno non viveva più. Aperto fascicolo per istigazione al suicidio 

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Si è tolta la vita impiccandosi con un foulard nella abitazione dove si era rifugiata da qualche tempo con la madre, per sfuggire al clamore mediatico sollevato dai video hard che la ritraevano e che erano finiti in rete a sua insaputa.

La donna, 31 anni, era rimasta fortemente segnata da questa vicenda: il video era diventato virale tanto da costringerle ad avviare le procedure per il cambio del cognome. Residente in provincia di Napoli, si era allontanata dal suo comune di nascita per trasferirsi prima fuori regione e poi a Mugnano, dove i carabinieri hanno trovato il suo corpo senza vita.

La Procura di Napoli nord acquisirà tutti gli atti della causa civile intentata dalla 31enne dopo la diffusione nel web, a sua insaputa, di suoi video hard. Il procuratore Francesco Greco e il sostituto Rossana Esposito hanno aperto un fascicolo per l'ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Gli inquirenti valutano anche la possibilità che nel corso del prosieguo dell'inchiesta si possano configurare altri reati che vanno dalla violazione della privacy allo stalking. 

Gli inquirenti stanno ascoltando gli amici della 31enne come persone informate sui fatti e tutte le persone che le sono state vicino in questi ultimi mesi o che in un modo o nell'altro sono entrate in questa vicenda. 

Per il tritacarne mediatico,  la giovane era stata costretta a lasciare il lavoro, cambiare città e cognome, citare in giudizio chi la perseguitava sui social, chiedere la chiusura dei profili di chi la insultava e la rimozione dei video dal web. Un oblio che tardava ad arrivare tanto che il suo avvocato aveva citato in giudizio non solo chi ha postato i video ma anche Facebook Irand, Google, YouTube e Yahoo Italia ottenendo, cinque giorni fa, un provvedimento di urgenza con cui si disponeva la cancellazione dei video lesivi della reputazione, pena una multa fino a diecimila euro per ogni giorno di inadempienza. La mamma ha raccontato che tutto questo non è bastato, che nel processo era stata comunque condannata a pagare spese per quattromila euro perché ritenuta consenziente. E alla fine il peso del suo dramma è diventato terribile.