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ITALIA

Il delitto di Brembate

Yara, il gip non convalida il fermo ma Bossetti resta in carcere

Il muratore 44enne, accusato di avere ucciso la tredicenne di Brembate di Sopra, resterà dietro le sbarre. Aveva rotto il silenzio durante l'udienza di convalida del fermo assicurando: "Sono innocente, quella sera ero a casa"

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Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, Ezia Maccora, non ha convalidato il fermo chiesto per Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore 44enne accusato di avere ucciso Yara Gambirasio, ma spiega "al momento a Bossetti è applicata la misura della custodia cautelare in carcere".

A riferirlo il suo legale Silvia Gazzetti. La decisione del giudice voluta, secondo quanto si apprende, perchè esisterebbero sussistenti indizi di colpevolezza, ma non il pericolo di fuga. Oggi c'è stato un nuovo sopralluogo in casa di Bossetti, a Mapello, per ulteriori rilevamenti.
L'uomo, fermato lunedì 16 giugno per l'uccisione della 13enne, si è dichiarato estraneo ai fatti. Bossetti vive nella casa con la moglie Marita Comi, la suocera e tre figli.
Dopo il fermo, la moglie e i tre figli erano andati via e da ieri anche la suocera, che vive nella stessa abitazione, aveva deciso di abbandonare il piccolo paese in provincia di Bergamo. 

Bossetti: "Sono innocente"
"Non ho mai visto Yara, sono totalmente estraneo": così si è difeso oggi davanti al Gip il muratore 44enne al termine del suo interrogatorio. A riferirlo è stato il suo avvocato uscendo dal carcere di Bergamo dove in mattinata c'è stata l'udienza per la convalida del fermo.
Massimo Giuseppe Bossetti ha spiegato al giudice che nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, quando Yara scomparve, si trovava a casa. Il legale ha poi aggiunto che il suo assistito ha dichiarato la sua "innocenza e non si spiega il perché il suo DNA sia stato trovato sugli indumenti di Yara. Vedremo di dimostrarlo durante il processo". Ha concluso, infine, dicendo che Bossetti non conosceva la giovane ginnasta. Il muratore ha detto di aver visto il padre della ragazza una volta sola dopo la sua morte. 

Capitolo cellulare
Bossetti ha anche spiegato che il suo telefono cellulare era inattivo dal tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 alla mattina successiva perché scarico. La Procura gli contesta, infatti, che il suo cellulare aveva agganciato la cella di Mapello, a cui si era agganciato anche il telefono di Yara Gambirasio, ed era poi rimasto inattivo, senza ricevere o fare comunicazioni, fino alla mattina dopo alle 7:30. 

La sorella di Massimo: "Hanno voluto incastrarlo"
Entra nella vicenda anche la sorella gemella di Bossetti, Laura Letizia, che dice: "Hanno voluto incastrarlo. Non è lui, ne sono sicura al cento per cento". "Mio fratello è sangue del mio sangue, io lo conosco - ha aggiunto - Non sapevo di avere un altro padre, ma per me mio padre è quello che mi ha cresciuta".
Infine, c'è un altro mistero che si aggiunge ai tanti che ruotano intorno a questo complicato caso. In base a quanto scritto sul sito di Panorama, il padre di Yara, Fulvio Gambirasio, e Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino, lavoravano nello stesso cantiere nei giorni in cui la ragazzina è scomparsa: il primo con la sua ditta che realizza coperture per costruzioni, il secondo come muratore. Questo in base alle dichiarazioni che avrebbero fornito i colleghi che lavoravano con loro. Una versione, però, che contrasta con quanto riferito da Fulvio Gambirasio, che ha sostenuto di non aver conosciuto Bossetti.

Garante privacy: "Stop ad accanimento informativo"
Sulla vicenda interviene il Garante per la privacy e 'bacchetta' quelle testate giornalistiche che hanno diffuso "informazioni e particolari, anche di natura sensibile e addirittura genetica, inerenti soggetti interessati soltanto indirettamente e marginalmente da vicende giudiziarie che hanno avuto una notevole eco nell'opinione pubblica".
L'Autorità - fa sapere una nota - "ritiene assolutamente necessario richiamare tutti i mezzi di informazione al massimo rispetto del principio di essenzialità della notizia pubblicata - uno dei cardini del Codice della privacy e dello stesso Codice deontologico dei giornalisti - che comporta un'attenta, accurata e seria verifica preventiva riguardo alla reale indispensabilità della diffusione di dati personali relativi a soggetti coinvolti solo in via mediata dalle vicende di cronaca. Neppure il rilevante interesse pubblico legittima l'accanimento informativo intorno agli aspetti più intimi della persona tale da determinare irreparabili danni nella vita familiare e di relazione".