TECH
Incontro a Roma con l'ex consigliere per l'innovazione di Hillary Clinton
Alec Ross, i diritti umani e la lezione di un ragazzino del Togo
Il docente della School of International and Public Affairs alla Columbia University ha tenuto un seminario sulla libertà su Internet e la promozione dei diritti umani. Con una domanda di fondo: la privacy rientra tra questi diritti?

Alec Ross è uno dei maggiori esperti americani in materia di innovazione ed è stato per quattro anni Senior Advisor (consigliere) per l'innovazione di Hillary Clinton, un ruolo creato apposta per lui dall’allora Segretario di Stato del primo governo Obama, per massimizzare il potenziale della tecnologia e dell'innovazione al servizio degli obiettivi della diplomazia americana.
In questo ruolo, Alec Ross si è occupato di argomenti come la sicurezza informatica, Internet Freedom, gestione dei disastri e l'utilizzo della rete nelle zone di conflitto. “Non sono più nel servizio diplomatico, quindi potrei rispondere anche a domande non diplomatiche”, ha detto Ross, tra l’altro grande conoscitore dell’Italia: ha studiato a Bologna e la sua famiglia materna è di origini abruzzesi.
Al suo arrivo a Roma nell'ultimo weekend di luglio, ha twittato ai suoi oltre 368 mila follower (è uno dei più grandi influencer politici della piattaforma) alcune foto sulla polemica relativa al degrado della Capitale, di cui ha parlato anche il New York Times, e che secondo Alec Ross sembra sovradimensionato:
Libertà della Rete e cyber security, gli strumenti che stanno erodendo la capacità dei governi di tenere le cose sotto controllo sono alcuni degli argomenti chiave del seminario (davanti ad una ventina di invitati) sui diritti umani ai tempi di internet. Tempi, questi, hanno anche un lato negativo, un ‘dark side’: per esempio, giornalisti e attivisti che sono diventati un bersaglio.
La lezione del ragazzino
Alec Ross, da capace professore, racconta: “Ho una amica che lavora alla Banca Mondiale, che è originaria di un piccolo villaggio del Togo. Ogni anno lei ritorna al suo villaggio, e ogni anno, in un preciso angolo di una strada, incontra un giovane ragazzo che fa dei disegni molto belli. Ogni anno, quando la mia amica ritorna nel suo Paese natale e acquista i disegni fatti dal ragazzo, sempre seduto allo stesso posto, con indosso solo un paio di pantaloncini”.
Fino al giorno in cui la donna arriva in un periodo diverso dal solito. Cerca il ragazzo, e lo trova sempre sullo stesso posto, tutto vestito come un giovane occidentale e con delle scarpe Nike ai piedi. “Come mai sei arrivata adesso?” chiede il ragazzo, “potevi mandarmi una mail”. E, togliendo lo smartphone dal taschino aggiunge: “Con questo potresti fotografare i miei disegni e farli vedere a tutto il mondo, invece di venire qui nel Togo per acquistarli”.
Vita (online) da millennial
Questo per dire che neanche in un villaggio ai confini del mondo possiamo trascurare il potere della rete. “Ai giorni nostri i dati sono la materia prima dell’era dell’informazione, come lo era il ferro per l’industria”, dice Ross, ricordandoci che abbiamo 16 miliardi di dispositivi in tutto il mondo, che diventeranno 40 miliardi entro il 2020, vale a dire domani. “I millennials negli Stati Uniti e in America Latina passano 7 ore al giorno, tutti i giorni, collegati a internet”. La media anche negli altri continenti è altissima, di 6 ore giornaliere.
Prima e dopo lo smartphone
Quello che ha creato internet, in sostanza, è “una nuova distribuzione del potere, sia politico che economico, con una sua frammentazione a livello mondiale”. Una volta la produzione di contenuti informativi, ad esempio, era appannaggio di tv e giornali. Oggi chiunque genera e diffonde informazione con un dispositivo collegato in Rete.
Tutto questo è avvenuto anche grazie al passaggio dal telefono cellulare allo smartphone. Lo si è visto durante la ‘Primavera araba’ quando per la prima volta, giornalisti rimasti bloccati in un hotel in Tunisia hanno cominciato a fare i reportage via Twitter. “Prima dei social media”, dice Ross, “avevamo legami personali molto forti”. Dopo il 2010, lo si è visto in Tunisia come in Libia come in Egitto, le persone hanno cominciato a interagire senza un vero e proprio legame personale.
Nessuna icona da t-shirt
Non ci sono eroi in questa nuova dimensione della protesta: “Non c’è una faccia da mettere su una t-shirt, non c’è stato un volto diventato un simbolo. Il cambiamento è enorme, se si pensa a icone dell’attivismo politico come Nelson Mandela in Sudafrica o Lech Walesa in Polonia”.
La grande differenza di adesso, da 13 anni a questa parte, è la perdita di controllo da parte dei governi. E la sorveglianza di massa, secondo Ross, non è altro che “un tentativo, da parte dei governi e dei militari, di tenere sotto controllo internet e la circolazione delle informazioni”.
La privacy è un diritto umano?
Resta da capire se la privacy possa essere considerata (o meno) un diritto umano. A questo non c’è una risposta, spiega Ross, perché in caso affermativo, allora la sorveglianza di massa da parte di governi e delle grandi corporate è sbagliata. Ma se la privacy non può essere considerata un diritto umano, allora la sorveglianza va considerata come una forma di protezione.
“Anyway norms have to shift”. Le norme, in ogni caso, dovranno cambiare, sia che vediamo il mondo in maniera ottimistica oppure no. Alec Ross si dichiara un cyber-ottimista, ma “non un utopista”. E sul caso di Edward Snowden si è detto totalmente d’accordo con quello che ha fatto ma totalmente in disaccordo sul come l’ha fatto: andare a consegnarsi nelle mani dei russi, che non sono proprio dei campioni della difesa dei diritti umani, secondo Alec Ross non era davvero necessario.
In questo ruolo, Alec Ross si è occupato di argomenti come la sicurezza informatica, Internet Freedom, gestione dei disastri e l'utilizzo della rete nelle zone di conflitto. “Non sono più nel servizio diplomatico, quindi potrei rispondere anche a domande non diplomatiche”, ha detto Ross, tra l’altro grande conoscitore dell’Italia: ha studiato a Bologna e la sua famiglia materna è di origini abruzzesi.
Al suo arrivo a Roma nell'ultimo weekend di luglio, ha twittato ai suoi oltre 368 mila follower (è uno dei più grandi influencer politici della piattaforma) alcune foto sulla polemica relativa al degrado della Capitale, di cui ha parlato anche il New York Times, e che secondo Alec Ross sembra sovradimensionato:
Il degrado di #Roma? Penso di no pic.twitter.com/vMheP2TyYP
— Alec Ross (@AlecJRoss) 26 Luglio 2015
Libertà della Rete e cyber security, gli strumenti che stanno erodendo la capacità dei governi di tenere le cose sotto controllo sono alcuni degli argomenti chiave del seminario (davanti ad una ventina di invitati) sui diritti umani ai tempi di internet. Tempi, questi, hanno anche un lato negativo, un ‘dark side’: per esempio, giornalisti e attivisti che sono diventati un bersaglio.
La lezione del ragazzino
Alec Ross, da capace professore, racconta: “Ho una amica che lavora alla Banca Mondiale, che è originaria di un piccolo villaggio del Togo. Ogni anno lei ritorna al suo villaggio, e ogni anno, in un preciso angolo di una strada, incontra un giovane ragazzo che fa dei disegni molto belli. Ogni anno, quando la mia amica ritorna nel suo Paese natale e acquista i disegni fatti dal ragazzo, sempre seduto allo stesso posto, con indosso solo un paio di pantaloncini”.
Fino al giorno in cui la donna arriva in un periodo diverso dal solito. Cerca il ragazzo, e lo trova sempre sullo stesso posto, tutto vestito come un giovane occidentale e con delle scarpe Nike ai piedi. “Come mai sei arrivata adesso?” chiede il ragazzo, “potevi mandarmi una mail”. E, togliendo lo smartphone dal taschino aggiunge: “Con questo potresti fotografare i miei disegni e farli vedere a tutto il mondo, invece di venire qui nel Togo per acquistarli”.
Vita (online) da millennial
Questo per dire che neanche in un villaggio ai confini del mondo possiamo trascurare il potere della rete. “Ai giorni nostri i dati sono la materia prima dell’era dell’informazione, come lo era il ferro per l’industria”, dice Ross, ricordandoci che abbiamo 16 miliardi di dispositivi in tutto il mondo, che diventeranno 40 miliardi entro il 2020, vale a dire domani. “I millennials negli Stati Uniti e in America Latina passano 7 ore al giorno, tutti i giorni, collegati a internet”. La media anche negli altri continenti è altissima, di 6 ore giornaliere.
Prima e dopo lo smartphone
Quello che ha creato internet, in sostanza, è “una nuova distribuzione del potere, sia politico che economico, con una sua frammentazione a livello mondiale”. Una volta la produzione di contenuti informativi, ad esempio, era appannaggio di tv e giornali. Oggi chiunque genera e diffonde informazione con un dispositivo collegato in Rete.
Tutto questo è avvenuto anche grazie al passaggio dal telefono cellulare allo smartphone. Lo si è visto durante la ‘Primavera araba’ quando per la prima volta, giornalisti rimasti bloccati in un hotel in Tunisia hanno cominciato a fare i reportage via Twitter. “Prima dei social media”, dice Ross, “avevamo legami personali molto forti”. Dopo il 2010, lo si è visto in Tunisia come in Libia come in Egitto, le persone hanno cominciato a interagire senza un vero e proprio legame personale.
Nessuna icona da t-shirt
Non ci sono eroi in questa nuova dimensione della protesta: “Non c’è una faccia da mettere su una t-shirt, non c’è stato un volto diventato un simbolo. Il cambiamento è enorme, se si pensa a icone dell’attivismo politico come Nelson Mandela in Sudafrica o Lech Walesa in Polonia”.
La grande differenza di adesso, da 13 anni a questa parte, è la perdita di controllo da parte dei governi. E la sorveglianza di massa, secondo Ross, non è altro che “un tentativo, da parte dei governi e dei militari, di tenere sotto controllo internet e la circolazione delle informazioni”.
La privacy è un diritto umano?
Resta da capire se la privacy possa essere considerata (o meno) un diritto umano. A questo non c’è una risposta, spiega Ross, perché in caso affermativo, allora la sorveglianza di massa da parte di governi e delle grandi corporate è sbagliata. Ma se la privacy non può essere considerata un diritto umano, allora la sorveglianza va considerata come una forma di protezione.
“Anyway norms have to shift”. Le norme, in ogni caso, dovranno cambiare, sia che vediamo il mondo in maniera ottimistica oppure no. Alec Ross si dichiara un cyber-ottimista, ma “non un utopista”. E sul caso di Edward Snowden si è detto totalmente d’accordo con quello che ha fatto ma totalmente in disaccordo sul come l’ha fatto: andare a consegnarsi nelle mani dei russi, che non sono proprio dei campioni della difesa dei diritti umani, secondo Alec Ross non era davvero necessario.