ITALIA
Quota 110 espulsioni dall'inizio del 2015, 44 quest'anno
Alfano: inneggiava alla jihad, espulso tunisino condannato a Bari
L'espulsione effettuata questa mattina riguarda un tunisino di 35 anni che, con altri soggetti (tra cui l'imam di Andria, rimpatriato il 13 agosto) era stato condannato nel 2015 dalla Corte di Assise d'Appello di Bari per il reato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale

"Con la espulsione di oggi siamo a quota 110 dall'inizio del 2015 di cui 44 eseguite nell'anno in corso. La espulsione effettuata questa mattina riguarda un tunisino di 35 anni Khairredine Romdhane Ben Chedli che, con altri quattro soggetti (tra cui l'imam di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassen, rimpatriato il 13 agosto) era stato condannato nel 2015 dalla Corte di Assise d'Appello di Bari per il reato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale". Lo dichiara il ministro dell'Interno Angelino Alfano.
"Successivamente, il 2 agosto scorso, era stato scarcerato in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la precedente pronuncia. Tuttavia la sua indole violenta che lo aveva portato a inneggiare alla jihad e a ritenere la morte in battaglia una legittima aspirazione, assieme al suo apprezzamento per gli attentati di Parigi, gli è valsa l'emissione del decreto di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato. Nessuna linea di tolleranza con chi non rispetta le nostre leggi e sposa schemi di violenza e di morte".
Di cosa sono accusati i membri della cellula terroristica di Andria
I cinque appartenenti alla cellula islamica di Andria "cooperavano nell'attività di proselitismo, di finanziamento, di procacciamento di documenti falsi, tenevano i contatti con altri membri dell'organizzazione, disponibili al trasferimento in zone di guerra per compiervi attività di terrorismo". In appello, nell'ottobre 2015, le condanne furono confermate con riduzione di pena a 2 anni e 8 mesi per il solo Chamari Hamdi.
Stando alle indagini della Dda di Bari, tra il 2008 e il 2010 il gruppo, sotto la guida dell'Imam tunisino della moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, avrebbe studiato in rete le tecniche per costruire ordigni, si sarebbe addestrato sull'Etna, in Sicilia, ridendo delle chiese distrutte in Abruzzo dal terremoto e parlando di odio, di sacrificio, di morte. Agli atti del processo c'erano materiale fotografico e video, documenti, intercettazioni telefoniche, e poi le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, terroristi pentiti.
Sempre secondo la Dda, l'indottrinamento finalizzato anche al reclutamento di volontari mujaheddin da avviare ai campi di battaglia in Afghanistan, Yemen, Iraq e Cecenia avveniva nel call center gestito dal presunto capo dell'organizzazione.
"Successivamente, il 2 agosto scorso, era stato scarcerato in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la precedente pronuncia. Tuttavia la sua indole violenta che lo aveva portato a inneggiare alla jihad e a ritenere la morte in battaglia una legittima aspirazione, assieme al suo apprezzamento per gli attentati di Parigi, gli è valsa l'emissione del decreto di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato. Nessuna linea di tolleranza con chi non rispetta le nostre leggi e sposa schemi di violenza e di morte".
Di cosa sono accusati i membri della cellula terroristica di Andria
I cinque appartenenti alla cellula islamica di Andria "cooperavano nell'attività di proselitismo, di finanziamento, di procacciamento di documenti falsi, tenevano i contatti con altri membri dell'organizzazione, disponibili al trasferimento in zone di guerra per compiervi attività di terrorismo". In appello, nell'ottobre 2015, le condanne furono confermate con riduzione di pena a 2 anni e 8 mesi per il solo Chamari Hamdi.
Stando alle indagini della Dda di Bari, tra il 2008 e il 2010 il gruppo, sotto la guida dell'Imam tunisino della moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, avrebbe studiato in rete le tecniche per costruire ordigni, si sarebbe addestrato sull'Etna, in Sicilia, ridendo delle chiese distrutte in Abruzzo dal terremoto e parlando di odio, di sacrificio, di morte. Agli atti del processo c'erano materiale fotografico e video, documenti, intercettazioni telefoniche, e poi le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, terroristi pentiti.
Sempre secondo la Dda, l'indottrinamento finalizzato anche al reclutamento di volontari mujaheddin da avviare ai campi di battaglia in Afghanistan, Yemen, Iraq e Cecenia avveniva nel call center gestito dal presunto capo dell'organizzazione.